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martedì 8 novembre 2011

AUSTRALOPITHECUS SEDIBA FORSE L'ANELLO MANCANTE

AUSTRALOPITHECUS SEDIBA
Cranio, mani, piedi e bacino potrebbero fare di Australopithecus sediba il miglior candidato al titolo di progenitore di noi esseri umani. È questa la conclusione a cui sono arrivati cinque diversi studi pubblicati su Science, tutti basati su analisi estremamente dettagliate di alcuni fossili ritrovati in Sudafrica nell’estate del 2008. La scoperta, oltre a fornire preziose informazioni sull’evoluzione dei nostri antenati, colmerebbe il vuoto esistente tra gli australopitechi più antichi - quelli di cui faceva parte la famosa Lucy, per intenderci - e gli H. erectus, scalzando forse il posto al caro vecchio Homo abilis.
                                   
Fin dalla loro scoperta, avvenuta nella Riserva naturale di Malapa (vedi Galileo, "Presentazioni ufficiali per Australopithecus sediba"), i fossili hanno destato particolare interesse soprattutto alla luce di alcune caratteristiche che li rendono per certi aspetti più simili all'Homo erectus, per altri ancora molto vicini al genere Australopitechus. Proprio per questo, i due paleoantropologi della Wits University di Johannesburg che li scoprirono, Lee Berger e Job Kibii, scelsero il nome di A. sediba, che nella lingua locale, il Sotho, vuol dire "ruscello" o "sorgente naturale", a voler indicare il possibile inizio del ramo evolutivo da cui discendiamo anche noi.
                            
Così ha preso il via un grande studio che ha coinvolto oltre 80 scienziati di tutto il mondo. Come hanno sottolineato gli autori, le ricerche sono pressoché uniche nel loro genere grazie agli strumenti d’analisi utilizzati e alla qualità dei reperti di sediba: suoi sono i più completi resti di mano mai descritti, il più integro bacino mai scoperto, la più accurata scansione endocranica mai realizzata; se non bastasse, vi si aggiunga anche una delle datazioni più precise mai stimate per un sito africano.
                                   
Fra tutte le parti prese in esame, il cervello e le mani sono senza dubbio i tratti che avvicinano di più A. sediba agli uominidi più moderni. Come infatti ha rivelato la scansione ultrasottile del cranio del fossile MH1 (un bambino di circa 11 anni vissuto 1,97 milioni di anni fa) realizzata presso la European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble, in Francia, la forma somiglia molto a quella umana, anche se le dimensioni (440 cm cubici) sono ancora paragonabili a quelle degli scimpanzé. Questa osservazione ha importanti conseguenze sulle teorie antropologiche: una tale organizzazione cerebrale, infatti, sembrerebbe favorire un modello di evoluzione del cervello che prevede una graduale riorganizzazione cerebrale, e che è dunque completamente in contrasto con quello finora più accreditato.
                                             
Dall’analisi della mano di MH2 (una donna di circa trent'anni vissuta esattamente nello stesso periodo di MH1), i ricercatori hanno poi tratto importanti conclusioni sulle capacità manipolatorie e deambulatorie dell’ominide estinto. “Le mani sono uno dei tratti più distintivi dell’uomo”, ha spiegato Tracy Kivell, ricercatrice del Dipartimento di Evoluzione Umana del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in Germania e autrice di uno degli articoli: “Di solito le scimmie hanno lunghe dita per afferrare rami o per l'uso in locomozione, ma hanno anche dei pollici corti e quindi una ridotta capacità ad afferrare gli oggetti”. A. sediba, invece, aveva una mano per certi versi più simile a quella dell’essere umano, pur mantenendo una notevole muscolatura carpale. Secondo gli autori, queste due caratteristiche indicano con estrema probabilità come questi ominidi fossero sì in grado di fabbricare e utilizzare utensili, ma al tempo stesso utilizzassero ancora le mani afferrare i rami.
SITO RITROVAMENTO AUSTRALOPITHECUS SEDIBA
Simili conclusioni sono state tratte anche dall’analisi del bacino e del piede, mostrando anche qui caratteristiche tipiche del genere Homo, alternate ad altre peculiari degli altri primati. “ L'insieme di queste osservazioni – ha concluso Lee Berger - fa di A. sediba il più probabile progenitore dell’Homo sapiens e neanderthalensis, molto più dell’Homo abilis”. Un’affermazione forte, che in pochi, nel mondo della paleontologia umana, sembrano condividere, come dimostrano i commenti pubblicati da Nature. Donald Johanson, niente meno che lo scopritore di Lucy, ora alla Arizona State University di Tempe, aspetta di vedere dettagliate comparazioni di sediba con i primissimi Homo, compreso l’abilis. E anche Bernard Wood, della George Washington University, si dice scettico: è possibile che sediba sia un nostro antenato, dice, ma non probabile. Una seconda possibilità infatti, non esclusa dallo stesso Berger, è che questo ominide sia un altro ramo secco di australopitechi.
                                     

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