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lunedì 20 ottobre 2008

L'ALIMENTAZIONE UMANA NELLA PREISTORIA

Per quel lunghissimo arco di tempo, che abbraccia tutti i periodi paleolitici, il sistema di vita dell’uomo e della sua alimentazione ci sono ancora quasi del tutto sconosciuti, per mancanza di sufficienti oggetti, utensili e resti culturali.
Informazioni più precise e certe – ma anche più recenti - provengono da quelle popolazioni o gruppi etnici, come gli antichi egiziani e gli etruschi, che credevano nella sopravvivenza della vita dopo la morte; ritenevano, cioè, che l’anima avesse ancora bisogno di mangiare, di bere e di tutte le cose di cui godeva in vita. E’ grazie a questo importante concetto – assai diffuso nelle aggregazioni umane primitive – che i paleontologi e gli antropologi sono in grado di conoscere in modo abbastanza approfondito gli usi alimentari dei popoli antichi.
Nei corredi funerari delle tombe, infatti, non venivano deposti solo i beni personali del defunto, ma anche cibi e bevande conservati in vari tipi di contenitori, che dovevano garantire al morto di che sopravvivere nell’al di là. Notizie sulle usanze alimentari provengono anche dalle numerose scene di vita quotidiana scolpite o dipinte sulle pareti delle tombe o dei luoghi di culto.
Verosimilmente l’uomo primitivo utilizzava per la propria alimentazione quanto la superficie terrestre spontaneamente produceva: tuberi, frutta, noci, bacche, germogli e tutto quello che di appetibile gli offriva la vegetazione. Si può dunque presupporre, nella prima fase, un’alimentazione vegetale, senza la quale l’uomo non avrebbe potuto sopravvivere. Emblematica, a questo riguardo, è la vita bucolica del Paradiso terreste descritta nel primo libro della Bibbia.
L’uomo del Paleolitico inferiore, in particolare il cosiddetto uomo europeo di Heidelberger, era un raccoglitore e cacciatore e non si curava di migliorare questa sua base alimentare - che del resto era abbondante e sempre assicurata – né con la coltivazione dei cereali né con l’allevamento del bestiame. A giudicare dagli strumenti di pietra e dalle armi da caccia (aste di legno accuratamente levigate e con punte acuminate), l’uomo sviluppò assai presto i suoi utensili fino ad un grado che soddisfacesse i suoi bisogni; quindi, per migliaia di secoli si mantenne ad un livello tecnico-artigianale uniforme, senza progressi di rilievo.
L’uomo del Paleolitico medio, come i suoi antenati, proseguì sulla stessa linea, vivendo di vegetazione, piante e cacciagione: elefanti, mammut, rinoceronti, bisonti, orsi, linci, cervi, daini, renne caprioli, gazzelle, volpi, uccelli, pesci, camosci, lepri, ecc. A partire da circa 150 mila anni fa, l’uomo di Neanderthal (un nostro misterioso cugino estintosi circa 30 mila anni fa ) viveva in bande di cacciatori nomatici di bovidi, cavalli, renne, orsi, pecore e capre selvatiche, seguendo le greggi e giungendo così a conoscerne intimamente le abitudini. Tutto ciò, alla lunga, avrebbe contribuito a gettare le basi della domesticazione di questi animali. Quasi nulla sappiamo, invece, delle armi di cui disponeva oltre a lame in selce , clave, e lance .
Nella caccia non esistevano ancora, comunque, principi etici, perché non si risparmiavano né madri gravide né piccoli appena nati. Per lo più si praticava la caccia di aggressione con armi silenziose contro una selvaggina abbordabile e sicura.
Nel Paleolitico superiore (circa 40.000 – 14.000 anni fa) gli uomini iniziano a costruire abitazioni scavate a una profondità di un metro e mezzo. Si scendeva in questi rifugi per una discesa obliga, ben coperta, da cui si accedeva ad una spaziosa stanza di soggiorno, dal soffitto alto, dove veniva acceso un fuoco; un altro accesso portava a un secondo ambiente, parimenti fornito di un focolare, e adiacente ad esso si trovava un ripostiglio che serviva da dispensa. Le pareti di queste stanze erano di legno.
La costruzione di ricoveri così strutturati richiedeva ingegno, e quindi denotano stabilità di accampamento, che serviva come base di partenza per lunghe cacce nelle regioni circostanti, con armi da caccia più raffinate.
La caccia ai grandi mammiferi, durante la fine dell’ultima era glaciale, era integrata dall’uccellagione, dalla pesca d’acqua dolce (trote, salmoni e storioni) e, lungo le coste, alla caccia ad altre creature marine. La comparsa dei primi mortai e pestelli testimonia che si intensificavano anche la raccolta e la rielaborazione di semi ed altre risorse vegetali, che il miglioramento graduale del clima rendeva maggiormente disponibili.
Nel Mesolitico (da 10 mila a circa 5 mila anni a. C. ) entra nell’attività umana l’arte della pesca. I paesaggi lentamente si coprivano di foreste e la dieta degli uomini si diversifica e si arricchisce di molluschi, sia terrestri sia marini. I cibi vengono cotti in recipienti d’argilla. E’ di questo periodo la comparsa del cane come compagno e collaboratore dell’uomo, prima nella caccia, e poi anche nell’attività pastorale.
Ciò che rivoluzionò però l’alimentazione dell’uomo preistorico, come pure tutta la sua economia e il suo modo di vivere, fu – nel periodo Neolitico, almeno a partire dall’ottavo millennio a. C.) – la coltivazione delle piante (cereali, lenticchie, piselli), nonché l’allevamento del bestiame ( maiale, capra, pecora, bovini) da cui trasse, da un lato, farine e vegetali commestibili, e dall’altro, carne, grassi, latte e formaggi.
Se per i cacciatori molti figli da sfamare era un problema, per gli agricoltori rappresentano invece altre braccia per dissodare, arare, seminare, raccogliere, allevare animali.
La diffusione del settore agricolo comportò un forte e costante aumento demografico e la crescita di villaggi permanenti sempre più allargati.
Durante l’età del Rame (terzo millennio a. C. ) compare la coltivazione della vite, del fico, del ciliegio, del susino e del castagno.
Con la fine del Neolitico (età del Bronzo, dal 2000 al 1900 a. C.), l’uomo aveva acquisito quel corredo di conoscenze e di esperienze che gli assicurava il dominio delle forze naturali. L’economia produttiva aveva raggiunto un tale culmine che i singoli territori potevano essere collegati tra loro in una fitta rete di scambi commerciali.

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