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venerdì 30 maggio 2008

LA RELIGIONE NELLA PREISTORIA


VENERE DI WILLENDORF

Homo religiosus
Al di là degli studi sull’evoluzione degli scheletri, sulla forma e sul volume della scatola cranica o sul tipo di dentatura, ossia tutte caratteristiche puramente corporee e biologiche che non illustrano in alcun modo lo sviluppo dello spirito umano incarnato, il criterio inconfondibile per stabilire l’epoca in cui è sorta l’umanità è questo: l’uomo è nato quando per la prima volta ha creato qualcosa di diverso dalla natura e quando ha preso coscienza di sé, delle sue debolezze e delle sue paure. Un utensile, inventato ed eseguito ad arte, come prodotto del pensiero, rappresenta lo sforzo intellettivo per supplire alla perdita di capacità di difesa, conseguente all’assunzione della posizione eretta (oltre 500 mila anni fa). Lo spazio e il tempo (passato, presente e futuro), il mondo, insomma, entrano così nella coscienza dell’uomo, che comincia ad apparire diverso dagli altri animali.
A questo riguardo, due sono le caratteristiche inequivocabili che mostrano la presenza dell’uomo: l’attività simbolica, che si esprime in varie maniere, ma soprattutto attraverso il linguaggio (gesti, segni, parole, grafiti e disegni), e l’uso del fuoco.
Anche gli animali non razionali sanno organizzarsi in comunità, andare a predare, costruirsi tane, servirsi di utensili già pronti; ma solo l’uomo è capace di riflettere sulle proprie attività, astrarre dalla situazione immediata, formulare ipotesi e progetti, anche al di là dello spazio e del tempo. In forza di questa capacità, egli ha potuto non solo utilizzare, ma anche procurarsi il fuoco, lo strumento primario che fa uscire dalla bestialità, questa forza della natura che terrorizza tutti gli altri esseri viventi.
La religione nasce perciò, effettivamente, con l’uomo stesso, con l’attività simbolizzatrice dell’animale razionale, anche se è fuori dubbio che il pensiero e l’attività, nel campo religioso, come in tutti gli altri settori dell’esistenza umana, all’inizio furono soltanto potenziali, e dovettero procedere nel tempo attraverso una lunga e faticosa evoluzione.
La religione dell’uomo primitivo, per quanto possiamo supporre andando a ritroso attraverso le ère geologiche, dovette basarsi sulle due attività simbolizzatrici che egli fin dall’inizio esercitò sia nel sonno che nella veglia, e cioè il sogno, da una parte, e il comportamento, dall’altra. Il sogno gli fornì i primi indizi di una esistenza diversa da quella ordinaria; il comportamento gli fece elaborare i primi schemi di ordinamento e organizzazione dell’esistenza quotidiana, quegli schemi che poi, diventati coscientemente religiosi, si chiameranno riti.
Pertanto, il pensiero religioso è mito, cioè concezione della vita e del mondo, e rito, cioè azione e liturgia, e coinvolge tutto il comportamento dell’uomo, da solo e in gruppo. L’uno e l’altro sono in funzione del sacro e delle sue manifestazioni: il mito lo rievoca, il rito lo rinnova. Il loro incontro crea la struttura di una data sacralità, cioè di una religione, e ne organizza gli elementi che possono essere di molteplice natura.
Nella storia delle religioni si manifestano così i simboli sacri, gli oggetti sacri, gli spazi sacri, i tempi sacri, le persone sacre, le azioni sacre.
Le tombe trovate nelle caverne paleolitiche testimoniano una fede nella vita ultraterrena soprattutto per la presenza dell’ocra rossa, una materia minerale colorante ritenuta comunemente, presso i primitivi, utile contro le malattie e contro gli spiriti maligni.
In alcune caverne, come quelle di Lascaux, di Trois-Frères e di Altamira, si sono rinvenute pitture, dove l’efficacia artistica si associa con una funzione magico-religiosa. Il cacciatore paleolitico, rappresentando sulle pareti della grotta bisonti, renne e altri animali oggetto delle sue preoccupazioni quotidiane, fissa in pochi tratti tutto un mondo simbolico, il mondo della religione teriotropica (dal greco therìon = animale, e tropos = direzione), il mondo dei teismo silvestre, cioè il mondo in cui dio viene trovato nella foresta e nei suoi animali.
L’animale è il vero, quasi unico centro d’interesse dell’uomo paleolitico. L’uomo, da un lato, lo ammira e lo esalta, perché gli appare come modello di forza, di agilità, di velocità, perché fonte di cibo e di vita; dall’altro, lo percepisce pericoloso, ostile, sfuggente, difficile da inseguire, da catturare, da addomesticare, da uccidere. Perciò si compiace anzitutto di proiettarlo in immagine, sperando così di dominarlo anche nella realtà.
Il teriotropismo religioso va collegato con il cosiddetto totemismo. Il totem (parola che deriva da una espressione degli indiani Algonchini, e che significa segno di famiglia) è l’animale a cui il gruppo umano si sente particolarmente legato, e che, in certi casi, finisce per diventare intoccabile, oppure oggetto di pasto sacro o di sacrifici.
Attorno all’animale-totem si formarono le prime grandi comunità religiose; al suo culto si destinarono i primi stregoni o sacerdoti-maghi; al servizio della comunità e del culto teriotropici si elaborarono le prime regole di vita associata, sotto forma di tabù (altra parola primitiva, di origine polinesiana, che significa segnato in modo straordinario), sotto forma, cioè, di prescrizioni e proibizioni sacre.
Le testimonianze concrete della preistoria, comunque, si fanno abbastanza chiare e precise soltanto a partire dall’età dell’uomo di Neanderthal (circa 70 mila anni fa), quando compare la sepoltura dei defunti e la deposizione di oggetti presso il cadavere, con l’evidente convinzione che servissero per la vita dell’al di là. I morti venivano pietosamente composti e inumati con il loro corpo intero, talvolta in posizione di sonno, isolati o a coppie, spesso in piccole celle di pietra, protetti da grandi lapidi poste sopra la tomba. Vestivano i loro abiti e i loro ornamenti e spesso erano spalmati di ocra rossa. Accanto al defunto, per accompagnarlo nel suo viaggio verso gli eterni campi di caccia, un regno in cui forse aveva la sua sede una divinità, si ponevano strumenti di pietra, armi e pezzi di selvaggina perché servissero di viatico.
L’esempio più interessante e singolare di inumazione del solo teschio è stato trovato in una caverna del Monte Circeo, in provincia di Latina. Al momento della scoperta, si trovò sul pavimento della caverna una piccola corona di pietre, al cui centro era posto un cranio di un uomo neanderthallense perfettamente conservato, ma privo di mandibola. Il foro occipitale, da cui parte la colonna vertebrale, era stato allargato ad arte, forse per poterne più facilmente estrarre il cervello.
Insieme con le sepolture coperte di ocra rossa, insieme alle riproduzioni animali, il paleolitico recente offre anche testimonianze del culto della fecondità, attraverso statuette femminili modellate in maniera simbolica. In tutti e tre i casi, al centro della riflessione di questi esseri umani sta il mistero della vita e della morte, come realtà che pone in relazione reciproca uomo e natura, vita presente e vita dell’al di là, in un unico sentimento religioso, in un unico faticoso cammino verso una realtà che trascende l’uomo. La figura di dio è quella di un essere supremo, visto spesso come grande cacciatore benefico o paterno, o come signore della foresta, o come dio-animale, o come spirito puro e semplice. E’ un dio da intendersi non tanto in senso monoteistico o politeistico, quanto piuttosto in senso cosmico, perché tutta la natura, proveniente dallo spirito supremo creatore, viene considerata come animata dallo spirito o dagli spiriti (animismo).
L’uomo primitivo cacciatore nasce, vive e muore, passando nel mondo degli antenati, sempre inserito in questo universo di forze soprannaturali. Il Culto, esercitato dai capi-famiglia, dai capi-tribù a nome e per conto della propria comunità, da personaggi considerati “sacri”, come indovini, maghi e stregoni, è preghiera, è offerta delle primizie, è sacrificio di vittime animali (talvolta di esseri umani), ma è soprattutto rituale che occupa, in un modo o nell’altro, l’intero ciclo della vita dell’individuo, dal giorno dell’iniziazione (momento in cui entra a far parte della comunità di culto) fino alla morte.
Durante il paleolitico recente e la progressiva ritirata dei ghiacci, e poi nel corso dell’epoca mesolitica e neolitica (periodo da considerarsi sostanzialmente unitario, che va da circa 20 mila anni a.C. al 3.500 a.C.), si svolse, ad opera soprattutto delle donne, quella che si è soliti definire come rivoluzione agricola: la coltivazione della terra. La donna compare al centro dell’ordinamento sociale, secondo il sistema definito matriarcato: è la donna che ha la principale iniziativa economica, è la donna che costituisce il punto di riferimento per i legami di parentela, è la donna che governa il gruppo o la tribù, è la donna che assume il ruolo di sacerdotessa, ed è nella donna e attraverso la donna che si raffigura, di preferenza, la divinità. Anche se questa prevalenza femminile va intesa in senso relativo, perché l’uomo rimaneva al fianco della donna in tutti gli aspetti dell’esistenza. Sta di fatto, comunque, che questa è l’epoca in cui domina la religione della terra madre e della luna, testimoniata da numerose statuette femminili rinvenute un po’ dovunque nell’area mediterranea e altrove: la terra è madre come è madre la donna, ed entrambe entrano a far parte di un unico grande simbolismo cosmico, in cui la vita e la morte, come fenomeni ricorrenti della natura e dell’umanità, si trovano nuovamente, ma in maniera diversa, al centro dell’attenzione religiosa.
Ma nel periodo neolitico donne coltivatrici e uomini allevatori si ritrovano insieme nelle capanne o nelle palafitte del villaggio.
Ecco, allora, che al geotropismo (dal greco ge = terra e tropos = direzione) o teismo terrestre, tipico della religione della terra madre, si accompagna e talvolta si contrappone l’uranotropismo (da ouranòs = cielo e tropos = direzione) o teismo celeste, tipico della religione pastorale. Il sentimento religioso improntato più nella fertilità della terra passa in secondo piano di fronte allo splendore del sole o alla tremenda maestà del fulmine.
Lo stile di vita del villaggio neolitico, sorto e sviluppatosi sulla base delle antiche comunità formatesi nel paleolitico, segna una conquista importante nella storia dell’organizzazione sociale, culturale e religiosa.
Fu questo stile di vita a correre per il mondo, nello spazio di diversi millenni (almeno una decina), con una rapidità assai maggiore della civiltà paleolitica, partendo dal centro generatore della “rivoluzione agricola”, cioè dalle vallate fluviali del Tigri-Eufrate, del Giordano e del Nilo. E poi, di qui verso Occidente e l’ Europa, verso Oriente, la Cina e l’India, fino alle Americhe, e, attraverso l’Indocina, fino all’Indonesia e alle regioni del Pacifico.
In tutte queste zone la religione “geotropica” o “uranotropica” del villaggio neolitico è sopravvissuta nella misura in cui non è stata superata o inghiottita dalle correnti religiose successive, collegate a loro volta con le rivoluzioni dell’urbanesimo o dell’universalismo.
Intorno al quattromila a. C., nelle vallate fluviali del Giordano, del Nilo, del Tigri e dell’Eufrate, dell’Indo, ecc. sorsero le più antiche civiltà della storia. La concentrazione umana si accompagnò a quella economica, sociale, culturale, politica, religiosa: si formano, cioè, grandi proprietà terriere e insieme si costituiscono vaste stratificazioni sociali, talvolta sotto forma di caste; si intensificano le iniziative culturali con l’invenzione e la diffusione sempre più semplificata della scrittura; si vanno unificando i poteri nelle prime grandi monarchie; si delineano le prime grandi organizzazioni religiose, le prime elaborazioni teologiche.
Le religioni sviluppatesi sul tronco della rivoluzione urbana assumono un respiro più ampio, diventano religioni di un intero popolo, di una nazione, e in alcuni casi, si impongono a vari popoli come strumento di unificazione e di dominio da parte dei conquistatori. Così abbiamo le religioni della Mesopotamia e dell’Asia anteriore, la religione egiziana, cinese, giapponese, della Persia, le religioni del mondo greco, del mondo italico, etrusco e romano, le religioni dell’America pre-colombiana.
In circa dieci secoli, dal 600 a. C. al 600 d. C., si registra non solo l’epoca della classicità greca e romana, l’epoca della classicità persiana, della “pace” cinese e dell’impero Maya in America, ma l’avvento delle grandi religioni, che vanno dall’urbe all’orbe, dalla città al mondo, portando a tutti gli uomini il messaggio della fede, della giustizia e della salvezza: buddismo, induismo, taoismo, confucianesimo, ebraismo, cristianesimo e islam.
Quindi: dalla comparsa dell’uomo la religione non è morta, non è scomparsa mai. Tra gli alti e bassi delle vicende individuali e sociali, essa resta uno dei pochissimi punti di riferimento sicuri.

Scritto dal mio amico Prof. Oreste Bazzichi, laureato in Teologia; la sua attività di studioso e docente è rivolta prevalentemente all’analisi dei rapporti tra etica ed economia.

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