Le origini delle
culture nubiane
Le industrie litiche databili al
Paleolitico superiore in Nubia sono di tipo acheuleano, nome che deriva da
quello della città di Acheul, in Francia, dove questo tipo di manufatto
è stato scoperto per la prima volta.
Questi utensili sono amigdale e
ciottoli scheggiati detti“choppers” e dovevano essere associati a una
quantità imprecisata di strumenti in materiali deperibili per noi
irrimediabilmente perduti.
Tra i più antichi esempi di queste
industrie vanno menzionati quelli rinvenuti a Khor Abu Anga,
presso Khartoum e in altri siti bassonubiani della zona di Wadi Halfa. Si
tratta di esempi di uno strumentario non specializzato attestato in Africa da
1,5 milioni di anni fa ma che appare relativamente tardi nella valle del Nilo.
La materia prima utilizzata è arenaria
ferruginosa.
Queste antiche popolazioni erano
probabilmente dedite alla caccia e alla raccolta, ma non conosciamo purtroppo
quali specie animali e vegetali fossero da loro sfruttate, in quanto le ossa
provenienti dai siti dove i più antichi utensili sono stati raccolti non sono
state studiate e non ci sono giunti resti vegetali così antichi.
L’apparizione in Nubia dell’Homo
sapiens risale probabilmente a 70000 anni fa.
In questo periodo il Nilo cominciò a
fluire da sud a nord e, nonostante alcuni pur notevoli cambiamenti di corso
avvenuti nel corso del tempo, ad assumere il suo aspetto generale attuale.
Si veniva così a definire uno dei più
importanti fattori nell’ambiente di questa regione dell’Africa.
A partire dai 40000 anni fa, la
varietà dello strumentario litico aumentò, benché strumenti come quelli
acheuleani continuassero ad essere utilizzati.
L’apparire di nuovi strumenti è
abbastanza improvviso è ciò ha fatto ipotizzare che la nuova tecnologia, se non
coloro che la padroneggiavano, fosse giunta nella regione dall’esterno.
L’origine possibile di questa
tecnologia resta peraltro oscura e, d’altro canto, l’apparente repentinità della
sua comparsa potrebbe anche essere frutto delle lacune nelle nostre conoscenze.
Tale epoca è caratterizzata da quattro
diversi tecnocomplessi inseribili in un orizzonte generale non limitato alla
Nubia ma che si estendeva a nord almeno fino all’altezza di Luxor, in Alto
Egitto.
Il primo di questi tecnocomplessi è
detto Musteriano Nubiano e è datato attraverso confronti con
materiali vicino-orientali e europei tra i 5000 e i 33000 anni fa (Fig.1).
Fig. 1: esempi di industria musteriana nubiana. Si noti come le schegge non siano
ritoccate: è con il ritocco del nucleo che si predetermina la loro forma |
Da questi confronti con i materiali
europei il tecnocomplesso ha mutuato anche il nome, che deriva dal
sito di Le Mouster, in Francia.
Accanto agli strumenti ancora di tipo acheuleano,
compaiono strumenti più piccoli come grattattoi e bulini.
Alcuni di questi strumenti erano
prodotti partendo da una accurata preparazione del nucleo che permetteva di
predeterminare la forma della scheggia che si andava a staccare, secondo una tecnica
che è detta levallois, dal nome di una città francese nei dintorni di
Parigi.
I più antichi siti di abitato e aree
di lavorazione e reperimento della pietra usata per produrre gli strumenti a
noi noti in Nubia sono dei piccoli siti ascrivibili a questo tecnocomplesso.
La
materia prima usata nella produzione degli strumenti litici è sempre l’arenaria
ferruginosa.
Il secondo tecnocomplesso è detto Musteriano
Denticolato, proprio in ragione della presenza di indentature originate dal
ritocco lungo il margine di alcuni strumenti.
Essendo questa la sola differenza sostanziale
rispetto il Musteriano Nubiano e essendo noti solo due piccoli siti con
industrie del Musteriano Denticolato, pare verosimile che quest’ultimo
tecnocomplesso rappresenti uno strumentario specializzato destinato a
specifiche attività dagli stessi, e prodotto dagli stessi gruppi che
producevano il Musteriano Nubiano.
Il terzo tecnocomplesso è detto Paleolitico
Medio Nubiano e è caratterizzato da un’industria diversa
dalle due precedenti.
Questo tecnocomplesso presenta infatti
assonanze con altre industrie dell’Africa centrale e orientale, come
il Sangoano, che prende il suo nome dalla baia di Sanga, sulla
costa occidentale del Lago Vittoria, e il Lupembano.
In particolare, le larghe punte
foliate del Paleolitico Medio Nubiano sono paragonabili a quelle del Lupembano
(Fig.2).
Il Paleolitico Medio Nubiano si
caratterizza anche per la grande abbondanza di asce e di piccoli strumenti su
scheggia tra cui i grattatoi, benché manchi degli altri strumenti allungati e
appuntiti che caratterizzano il Lupembano e il Sangoano.
Il quarto tecnocomplesso, forse
leggermente più tardo e che giunge fino a circa 17000 anni fa, è il Khormusano,
dal toponimo Khor Musa, nella regione di Wadi Halfa, in
Bassa Nubia. Questo tecnocomplesso è caratterizzato da industrie prodotte
con tecnica levallois e composte
principalmente da bulini, che erano
molto abbondanti, e denticolati.
Da notare che questo tecnocomplesso
sarebbe abbastanza assimilabile al Musteriano nubiano e al Musteriano
denticolato per tecnologia di produzione e tipologia degli strumenti
se non fosse per l’utilizzazione del diaspro, un tipo di pietra meglio
lavorabile rispetto all’arenaria
ferruginosa.
Fig. 2: strumenti del tecnocomplesso detto Paleolitico Medio Nubiano. Da notare le
punte foliate simili a tipi diffusi nelle industrie dell’Africa centrale e orientale |
Anche in questo caso, quindi, si può
ipotizzare che il tecnocomplesso in questione non rappresenti diversi gruppi
quanto piuttosto lo strumentario utilizzato per alcune attività specializzate dagli
stessi gruppi che producevano il Musteriano Nubiano.
A partire da 20000 anni fa, quando
ormai il Bassa Nubia il Nilo si era stabilizzato in un corso simile
all’attuale, la differenziazione delle industrie si accentua.
In questa fase il clima secco e freddo
dovette rendere difficile la presenza di gruppi umani nelle regioni non immediatamente
prospicienti il fiume e favorire al contrario l’occupazione delle aree
rivierasche e uno sfruttamento specializzatodelle risorse fluviali.
La validità di queste considerazioni è
però necessariamente limitata alla sola Bassa Nubia, che è l’unica regione della
Nubia e del Sudan che sia stata oggetto per queste fasi di indagini
sistematiche da parte della Combined Prehistoric Expedition nel corso
dell’ultima campagna per il salvataggio dei monumenti nubiani.
In Bassa Nubia il Khormusano è allora
sostituito dal Gemaiano, industria rinvenuta in numerosi piccoli siti,
forse campi di gruppi di cacciatori, lungo i paleocanali del Nilo. Il
tecnocomplesso gemaiano è caratterizzato da bulini, rari rispetto al
Khormusano, schegge appuntite, grattatoi e denticolati, sempre prodotti in
diaspro.
Probabilmente i gruppi umani con
industrie gemaiane predavano anche grandi animali della savana ai
margini della valle del Nilo.
Anche il Sebiliano, noto sia in
Alto Egitto sia in Bassa Nubia è ben caratterizzato: gli strumenti sono
nuovamente prodotti in arenaria ferruginosa e sono di grandi
dimensioni e più rozzi, dall’aspetto arcaico.
Questo strumentario potrebbe essere
riconducibile a gruppi che adottavano sistemi di adattamento ancora legati alla
caccia e alla predazione dei grandi animali della savana, le cui ossa sono
state trovate associate a industrie litiche sebiliane, nondimeno è anche possibile
che quest’ultimo tecnocomplesso sia stato semplicemente datato male e sia in realtà più antico
di quanto finora ritenuto.
Un altro tecnocomplesso dell’area di
Wadi Halfa, presumibilmente coevo al Gemaiano ma destinato a
sopravvivergli, è detto Halfano e è caratterizzato da lamette
microlitiche.
Le industrie microlitiche si affermarono
in maniera generalizzata alla fine del Paleolitico, quando la specializzazione
delle attività di sussistenza favorì l’affermarsi di strumenti compositi di cui
i microliti, immanicati in materiali deperibili per noi irrimediabilmente
perduti, erano parti.
I microliti assai accurati formavano
punte di freccia, lame, grattatoi utilizzati per la caccia, la pesca e forse
anche nella raccolta di vegetali selvatici.
I gruppi che producevano l’industria
halfana vivevano in piccoli campi.
A partire da 18000 anni fa un gruppo
di siti nello Wadi Kubbaniya, ai margini del Deserto Occidentale, presso
Assuan si caratterizza per la presenza di molte macine forse connesse a uno
sfruttamento intensivo di piante e cereali.
La presenza di queste industrie ben
caratterizzate che convivevano in regioni spesso sovrapponibili o
contigue ha fatto pensare che, in una fase in cui l’entroterra del
Sahara era ancora poco adatto all’insediamento umano, la valle del
Nilo avesse offerto un ambiente
più accogliente a diversi gruppi umani
che vi convivevano pur in spazi
tutto sommato ristretti.
La concentrazione demografica e la competizione
per le risorse può aver favorito la messa a punto di forme di sfruttamento
dell’ambiente sempre più specializzate e efficienti.
Tra i 15000 e gli 11000 anni fa si
determinò una fase di maggiore umidità, caratterizzata dagli alti
livelli del Nilo, dei laghi sahariani e dell’Africa orientale.
In questa fase climaticamente diversa
nella zona della seconda cataratta emerse il Qadiano nubiano che mostra considerevoli
variazioni percentuali da sito a sito nella presenza degli strumenti, dallo
spiccato carattere microlitico.
Ciò è forse spiegabile col fatto che
diversi segmenti della popolazione svolgevano attività specializzate nei
diversi siti o che i siti fossero utilizzati per attività diverse nelle diverse
stagioni.
Tra queste attività vanno certamente annoverate
la pesca, la caccia di buoi selvatici e altri ungulati, confermate anche dai
resti ossei associati alle industrie litiche, e lo sfruttamento dei cereali
selvatici, testimoniato dalla presenza di una grande quantità di macine e di
microliti dai margini recanti la caratteristica patina originata
dall’utilizzazione degli strumenti per recidere steli contenenti silicio.
Con il Qadiano per la prima volta ci sono
note delle sepolture.
Il corpo era posto in posizione
contratta in stretti pozzi ovali che, almeno in alcuni casi, erano all’interno
degli accampamenti.
Un cimitero, quello del Sito 117 a
Gebel Sahaba, conteneva scheletri con tracce di ferite causate da armi con
punte in pietra.
Le industrie nubiane tra 12000 e 8000
anni fa sono scarsamente note, tra esse spiccano due
tecnocomplessi microlitici noti come Arkiniano e Shamarkiano, ambedue scoperti
nella zona della seconda cataratta e caratterizzati da
somiglianze con il Capsiano Superiore,
un’industria litica dell’Africa del
nord.
Arkiniano e Shamarkiano sono caratterizzati
dalla presenza di strumenti microlitici, tra cui lame a dorso, geometrici,
crescenti e schegge con ritocco denticolato.
In associazione al Shamarkiano si sono
trovate anche delle punte di tipo ounaniano, ovvero lamette appuntite
con ritocco alla base, presenti anche nelle industrie sahariane coeve.
La fauna acquatica è rara nei siti
shamarkiani mentre è presente in associazione all’Arkiniano, in associazione
con ambedue i tecnocomplessi, invece, sono stati rinvenuti resti di grandi
mammiferi.
In una grotta presso Abu Simbel detta Grotta
del Pesce Gatto un deposito di 7000 anni fa ha restituito
un’industria shamarkiana associata però con teste di arpione in
osso, dimostrando l’inserimento della Bassa Nubia in un vasto
orizzonte che comprendeva l’alta valle
del Nilo, il Sahara e regioni
dell’Africa orientale che è stato detto Acqualitico.
Tale orizzonte scaturisce più che
dall’introduzione di un sistema di adattamento basato sulle risorse del fiume,
che era praticato da epoche molto più antiche, dall’adozione piuttosto
generalizzata della pesca con arpione barbato in osso.
Un sito simile datato al 6300 a.C. è
stato scoperto a Tagra, sul Nilo Bianco, 200 km a sud di Khartoum, e ha
anch’esso restituito arpioni in osso.
L’area che ci ha restituito finora
resti più abbondanti di questo sistema di adattamento è proprio
quella di Khartoum, dove fiorì una cultura archeologica nota come Early
Khartoum o Mesolitico di Khartoum.
Dal 6000 a.C. circa questa regione era
occupata da cacciatori, raccoglitori e pescatori che abitavano degli
accampamenti anche abbastanza estesi, probabilmente occupati stabilmente per la
gran parte dell’anno, come suggerito dallo spessore dei depositi archeologici.
Il sito di Khartoum ha, ad esempio,
un’estensione di 5600 metri quadrati. A Khartoum si sono rinvenute anche delle
tombe in cui i corpi dei defunti erano posti in posizione contratta e che erano
localizzate all’interno dell’abitato.
L’ambiente sfruttato da queste popolazioni
doveva essere quello delle paludi circostanti il corso del Nilo, come suggerito
dalle specie animali i cui resti sono stati raccolti in associazione ai
materiali archeologici. Questa cultura archeologica è caratterizzata da
industrie litiche con grattatoi, lame a dorso microlitiche e delle più grandi
“asce a crescente”, forse usate per la lavorazione dei manici in legno degli
arpioni o di lance.
Altri strumenti tipici sono le punte
di arpione in osso barbate solo su un lato e i pesi per reti da pesca in
pietra.
Lo sfruttamento di piante selvatiche sarebbe
suggerito dalla presenza di macine e macinelli, ma non va dimenticato che
questi strumenti potrebbero essere stati usati anche per triturare dei pigmenti
minerali.
In questa fase iniziò anche la
produzione della ceramica, decorata con linee ondulate incise parallele
tra loro (“wavy line”), forse prodotte usando come strumenti ossa di
pesce gatto, e con linee ondulate ottenute attraverso
l’impressione nell’argilla di un arnese a
più punte (“dotted wavy line”).
Quindi, la produzione della ceramica, associata
nel Vicino Oriente e in Europa a un’economia di produzione, sarebbe nelle
regioni esaminate collegata a esigenze forse simili a quelle di cottura e
conservazione degli alimenti tipiche dei primi agricoltori o allevatori ma nel
contesto di una società ancora di cacciatori e raccoglitori.
Più a nord, in Bassa Nubia, la
ceramica sembra comparire solo più tardi, intorno al 4500 a.C., in
contesti tardo-shamarkiani. A sud, benché con notevoli lacune nella
distribuzione spaziale, questo tipo di ceramica è nota, oltre che nel Sudan
centrale, in Alta Nubia e fino al
Lago Turkana nel Kenya settentrionale.
A ovest, grazie anche all’umidità che
caratterizza in queste fasi l’ambiente sahariano, il sistema d’adattamento
basato sullo sfruttamento delle risorse della pesca associate ad altre risorse
locali testimoniato archeologicamente dagli arpioni in osso e dalla ceramica
“wavy line” è attestato fino nel Mali.
I siti con materiale di questo tipo in
Alta e Bassa Nubia sono generalmente classificati come Khartoum Variant o
Khartoum Related e sono caratterizzati da industrie
litiche che continuano le tradizioni locali delle fasi precedenti.
È stato per questo suggerito che l’apparizione
della ceramica vada interpretata come un’innovazione esogena adottata dai
gruppi nubiani piuttosto che come traccia di movimenti di gruppi meridionali
verso il nord.
Recentemente un abitato ascrivibile a
questa facies è stato indagato a El-Bargha, nella regione di Kerma, in Alta
Nubia, e delle tombe coeve sono state individuate all’interno e in prossimità
del sito di abitato.
La fauna raccoltavi conferma che la
sussistenza era basata sulla caccia ad animali selvatici e sulla pesca.
Una struttura circolare parzialmente scavata
nel terreno rinvenuta in questo sito e in cui sono stati trovati molti oggetti
rappresenta l’unico resto strutturale finora rinvenuto in un’area di abitato di
questa fase (Fig.3). Le tombe sono caratterizzate da un originale
rituale che comportava la rottura e disarticolazione delle ossa.
L’economia produttiva si afferma in
Sudan e Nubia solo a partire dal 6000-5500 a.C. e si manifesta con
l’adozione del pastoralismo.
Secondo tutte le evidenze disponibili,
la domesticazione di caprovini e bovini non avvenne nella valle del
Nilo.
I bovini furono domesticati nel Sahara indipendentemente dal
Vicino Oriente, come proposto da Mori e Barich, i caprovini furono
invece domesticati nel Vicino Oriente e poi adottati dalle popolazioni del
Sahara.
Solo in seguito e dal Sahara
l’economia produttiva passò nella valle del Nilo.
Il passaggio al pastoralismo può
essere spiegato, come proposto da Sutton e Phillipson, con la
concentrazione di popolazione in determinate aree della valle che sul
medio-lungo periodo avrebbe comunque innestato una ricerca di
nuove e più abbondanti fonti di cibo.
Forse, come propone I. Caneva, si
trattò di un’adozione dettata dalle caratteristiche sociali delle
comunità del Sudan centrale.
In questa regione, infatti, i gruppi
umani avevano già sviluppato, forse proprio grazie a secoli di
sedentarizzazione e di uso di strategie di adattamento molto specializzate e
diversificate, una struttura sociale articolata e assai complessa.
Proprio questa differenziazione e specializzazione
nella produzione del cibo avrebbe preparato e favorito l’adozione
dell’allevamento con il conseguente passaggio di alcuni segmenti della
popolazione alla nuova forma di economia con grande facilità e, probabilmente,
successo. Sempre secondo I. Caneva, l’adozione sarebbe cominciata con il
passaggio di alcuni animali addomesticati da gruppi Sahariani ai gruppi del
Sudan centrale in occasione di scambi matrimoniali.
Gli scambi matrimoniali spiegherebbero
secondo questo modello anche l’adozione nella regione della “dotted wavy line”,
che potrebbe essere apparsa prima nel Sahara che nel Sudan centrale.
Secondo questo modello, la diffusione
di idee e, forse, anche di genti dal Sahara sarebbe connessa con la diffusione
della “dotted wavy line” verso la valle del Nilo e sarebbe stata favorita da
una pulsazione secca che avrebbe spinto i gruppi sahariani in aree più prossime
alla valle del Nilo.
Per il momento però le evidenze ben
datate di “dotted wavy line” nella valle del Nilo sudanese e nel Sahara non
provano in modo definitivo questa ipotesi.
Speculativa resta anche l’ipotesi di
R. Haaland secondo cui le popolazioni parlanti lingue
Nilo-Sahariane e caratterizzate da un sistema di adattamento basato sullo
sfruttamento specializzato di risorse dell’ambiente rivierasco
sarebbero state allora rimpiazzate da pastori parlanti lingue Cushitiche.
Oggi grazie alle recenti ricerche
condotte in Alta Nubia, nella regione di Kerma, l’introduzione dei
bovini domesticati nella valle del Nilo può essere datata al 6000 a.C.
circa. L’adozione degli animali domestici nella valle sudanese del
Nilo fu un fenomeno quasi esplosivo e può essere seguita grazie
all’evidenza recuperata in vari siti del Sudan centrale.
Nel giro di 500 anni si passò da una limitatissima
percentuale di ossa di animali addomesticati scoperta a Geili a una percentuale
assai alta registrata a Kadero.
La presenza di poche ossa di animali
domestici non va però automaticamente interpretata come una prova del loro
ruolo secondario nel sostentamento.
Infatti, lo sfruttamento degli animali
per procurarsi un adeguato apporto proteico non ne implica automaticamente l’abbattimento:
a tal fine, come attestato etnograficamente presso molte popolazioni di
allevatori, potevano essere sfruttati anche solo il latte e il sangue.
L’economia di produzione basata
sull’allevamento si associa all’adozione di modelli di maggiore mobilità, forse
favoriti anche dal progressivo degrado ambientale causato in alcune aree
proprio dalla presenza crescente di animali allevati.
La maggiore mobilità mise fine a
lunghi secoli di sostanziale stabilità di insediamento collegata a un’economia
di caccia e raccolta. Parallelamente, le tradizioni culturali regionali
conobbero un processo di progressiva e sempre maggiore differenziazione, benché
elementi comuni e traccianti trasversali permangano.
Il sito eponimo del neolitico sudanese
è Esh Shaheinab, nel Sudan centrale, datato alla metà del V
millennio a.C. A Esh Shaheinab è documentata la prima fase di
allevamento degli animali, in cui questi ultimi rappresentano ancora una
percentuale nettamente minoritaria
delle ossa raccolte, mentre continuano
le attività di caccia, raccolta e pesca.
L’industria litica è largamente
microlitica e caratterizzata da numerosi raschiatoi alcuni dei quali sono di grandi
dimensioni, a forma di crescente e in criolite.
Utensile caratteristico è un’ascia,
detta in inglese “gouge” (Fig.4), da cui deriva il nome di Gouge
Culture talvolta usato per designare questa cultura in alternativa al nome
di neolitico di Esh Shahinab o di Neolitico di Khartoum.
Importante è anche la continuità nella
presenza dell’arpione in osso che, insieme all’amo in conchiglia, attesta la
pratica della pesca (Fig.4).
Nella produzione ceramica, continua l’uso
della decorazione “dotted wavy line” cui si affiancano motivi vari
come quelli prodotti con impressioni praticate con movimento ondulatorio, detto
in inglese rocker (Fig.4), e a spina di pesce e l’uso della ceramica a
bocca nera, la cui parte interna e la banda lungo l’orlo erano annerite probabilmente
cuocendo il vaso con l’orlo verso il suolo.
Altro sito assai rilevante per questa
fase è Kadero, dove gli animali domestici rappresentano l’88% delle
faune e al loro interno i bovini sono nettamente prevalenti sui
caprovini.
La ceramica si distingue da quella di
Esh Shaheinab per la rarità della decorazione “dotted wavy line”.
Le impressioni lasciate dagli inclusi
vegetali sulla ceramica hanno permesso di identificare la presenza su questo
sito di specie ancora selvatiche di sorgo, un cereale endemico del Sudan, che è
attestato però in queste regioni in forme domestiche solo da epoca pienamente
storica. Non si può però escludere che a Kadero si trattasse di forme
morfologicamente ancora selvatiche ma di fatto già coltivate e lo stesso
discorso può essere esteso anche al miglio.
Anche la presenza di macine e
macinelli è stata interpretata come prova possibile dell’importanza delle piante
nell’alimentazione degli antichi abitanti di Kadero, ma anche in questo
caso non se ne può escludere l’uso nella triturazione di pigmenti
destinati alla cosmesi.
Se è indubbio che un’ampia gamma di
piante venisse sfruttata, divergenze restano quindi sulle modalità del loro
sfruttamento e, in generale, sulla loro importanza nella dieta.
L’industria litica di Kadero è
caratterizzata da grattatoi con pochi Microliti.
Lo strumentario del neolitico si
caratterizza in generale per i geometrici in pietre locali con ritocco a bordo
abbattuto, che sono i soli strumenti presenti accanto a grandi quantità di
schegge.
Forse le schegge però, seppur non
ascrivibili ad alcuna classe tipologica di strumenti, non vanno considerate
solamente scarti di lavorazione ma erano in qualche modo utilizzate.
Interessante notare che è stato possibile
compiere delle operazioni di re-fitting, ovvero ricomporre il nucleo a
partire dalle schegge che ne erano state staccate, anche con materiali
provenienti da contesto funerario e ciò suggerisce che la scheggiatura della
pietra avesse un ruolo anche nelle cerimonie funebri.
In queste fasi l’industria in pietra
polita è prodotta in rocce metamorfiche importate e è costituita, oltre che da
asce, macine e macinelli, da palette, asce e teste di
mazza discoidali o piriformi, che, come si vedrà, furono ben presto
utilizzate per manifestare il rango.
La regione di Dongola in questa fase
era occupata da popolazioni le cui culture archeologiche mostrano
relazioni con l’Abkano della Bassa Nubia, con il Mesolitico di Khartoum e con
il Neolitico di Khartoum.
La cultura del Gruppo di Karat è
caratterizzata dall’avere in comune con i siti più meridionali solo un tipo di
ceramica brunita con decorazione rocker.
Anche l’industria litica con numerosi
grattatoi su scheggia con cortice e con pochi microliti e macine è piuttosto particolare.
Analogie possono piuttosto essere
notate con la ceramica della successiva cultura della regione, il Pre-Kerma,
e del Gruppo A basso-nubiano, di cui potrebbe essere l’antecedente.
Come detto, dunque, le culture
neolitiche si caratterizzano per marcate differenziazioni e regionalismi nella
stessa valle del Nilo.
A maggior ragione differenze e
regionalismi spiccati si notano in siti geograficamente più remoti dalla
regione di Khartoum e dal Sudan centrale, come quelli dello Wadi
Howar, del Gruppo di Amm Adam e di Malawiya tra Gash e Atbara e
Shaqadud nel Butana.
In particolare, a Shaqadud, nel
Butana, all’interno di una grotta si può seguire in stratigrafie ben
conservate il passaggio da mesolitico a neolitico, in un contesto che doveva
vedere i gruppi umani impegnati prima nello sfruttamento specializzato
dell’ambiente attraverso caccia
e raccolta di risorse della savana
alberata e, poi, nello sfruttamento pastorale dell’area.
Questi gruppi, come dimostra la loro
cultura materiale, mantenevano strette relazioni con gli abitanti della valle
del Nilo, benché restassero da essi culturalmente distinti e avessero forse mantenuto
più a lungo degli stessi abitanti dei siti rivieraschi dei contatti con il
Sahara.
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