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mercoledì 22 maggio 2013

DINOSAURI ITALIANI


Per più di 200 anni di esplorazione geologica la penisola italiana rappresentava un'eccezione tra i paesi dell´Europa meridionale - non restituendo alcuna evidenza della presenza di dinosauri sul territorio.
Coelurosaurichus toscanus
Coelurosaurichnus toscanus

Impronta
Ma nel 1941 il paleontologo tedesco Friedrich von Huene descrisse una piccola impronta tridattila (lunga 6-7cm) ritrovata in sedimenti di delta fluviale sui Monti Pisani presso Agnano (Toscana), datata a 230 milioni di anni. Huene chiamo l´icnospecie Appropriatamente Coelurosaurichnus  toscanus e la attribuì a un ceratosauride di piccole dimensioni. L´icnofossile fu esposto nel Museo di Geologia e Paleontologia di Firenze e si dovette aspettare fino al 1985 per ampliare questa prima collezione di dinosauri italiani.
Tethyshadros insularis
(Antonio)
Tethyshadros insularis
 
Il tetisadro (Tethyshadros insularis) è un dinosauro erbivoro, appartenente agli ornitopodi. Visse nel Cretaceo superiore (Maastrichtiano, circa 70 milioni di anni fa). I suoi resti sono stati ritrovati in Italia, nella località fossilifera Villaggio del Pescatore, vicino a Trieste. Lungo circa quattro metri, questo animale per molti versi era affine agli adrosauridi, i grandi dinosauri erbivori che nel Cretaceo superiore si diffusero nelle pianure di Nordamerica e Asia. Tuttavia, molte caratteristiche lo avvicinavano al ben noto Iguanodon, e altre ancora lo distinguevano da ogni altro ornitopode. La testa, allungata e simile a quella di un cavallo, era simile a quella di Iguanodon, ma possedeva un curioso becco dotato di numerose punte che sporgevano in avanti, diverso da quello di qualunque altro ornitopode. Gli arti, invece, sono molto simili a quelli degli adrosauri nordamericani. Le zampe anteriori, tuttavia, erano caratterizzate da una mano a tre dita (invece che a quattro dei tipici adrosauri) la cui mobilità era molto ridotta. Gli arti posteriori erano molto allungati e la tibia era più lunga rispetto al femore; questa caratteristica è tipica degli animali corridori. Anche la coda era notevolmente diversa da quella degli adrosauri tipici, e terminava in una sorta di frusta
Scipionyx samniticus (Ciro)
 
Scipionyx samniticus
 
Scipionyx samniticus
Scipionyx è un genere di dinosauri teropodi viventi in Italia nel Cretaceo inferiore, circa 113 milioni di anni fa. Ad oggi l'unico scheletro fossile rinvenuto appartiene ad un esemplare giovane con preservate in eccezionale stato conservazione parti di tessuti molli ed organi interni, il reperto è stato soprannominato "Ciro" dalla stampa popolare italiana, che ha ampiamente pubblicizzato questo ritrovamento. L'olotipo e unico resto fossile conosciuto di questo genere è stato rinvenuto a Pietraroja (BN), è stato acquisito dall'Università di Napoli Federico II; dal 15 aprile del 2005 un calco di esso si trova presso il luogo di ritrovamento, al Paleolab, un museo realizzato presso l'area geopaleontologica di Pietraroja, mentre l'originale si trova custodito in magazzino a Salerno. Dettaglio degli organi interni eccezionalmente conservati nel fossile di Ciro e delle zampe anteriori terminanti a tre dita. Gli studiosi ritengono che lo Scipionyx da adulto avrebbe probabilmente raggiunto la lunghezza di due metri per 1,30 m di altezza ed il peso di 20 kg circa. L'anatomia di questo animale era vagamente simile a quella del Velociraptor con cui condivide l'infraordine, ma le due specie forse non facevano parte della stessa famiglia. Si nutriva di pesci e rettili (i cui resti sono stati ritrovati nello stomaco dell'esemplare ritrovato) e forse di piccoli invertebrati. Dal punto di vista della conservazione l'esemplare ritrovato è privo solamente dell'estremità della coda e delle zampe posteriori ed è l'unico dinosauro finora rinvenuto nel mondo di cui sono visibili anche alcune parti molli del corpo, come l'intestino, con resti dell'ultimo pasto, il fegato, la trachea, gli occhi, piccolissime porzioni della pelle e fasci di fibre muscolari del petto. Anche grazie all'eccezionale conservazione di questi tessuti e all'individuazione delle tracce di ferro che al tempo erano parte dei globuli rossi, si è fatta sempre di più strada l'ipotesi che Scipionyx fosse un animale a sangue caldo. Visse 113 milioni di anni fa in prossimità di quello che doveva essere l'oceano Tetide, presso un ambiente lagunare caratterizzato da gruppi di isole. Quando morì aveva solo pochi giorni di vita e misurava una cinquantina di centimetri. Gli scienziati hanno ipotizzato che sia morto durante un'alluvione provocata da un uragano. Forse aveva da poco abbandonato il nido quando fu travolto da un'onda di piena, il suo cadavere finì in quella che era una laguna poco profonda, a poche centinaia, o forse decine, di metri dalla riva.. Il corpo rimasto sul fondo limaccioso della laguna, in ambiente anaerobico, non si decompose. Fossilizzandosi entro il sedimento in cui rimase imprigionato, si è conservato fino ai nostri giorni. Il sito fossilifero di Pietraroja è famoso per l'eccezionale qualità dei suoi reperti, generalmente si tratta di animali costieri o acquatici, ma erano già stati rinvenuto resti di piante e di rettili simili a lucertole, oltre a probabili frammenti di coccodrillo.
Saltriosaurus
 
Saltriosaurus
 
Saltriosaurus
Il Saltriosaurus ("Lucertola di Saltrio") è il più grande (8 metri) dinosauro carnivoro scoperto in Italia e forse il più antico tetanuro finora conosciuto. Assomigliava vagamente al famoso Allosaurus, ma era più piccolo e molto più antico, risale infatti al Giurassico inferiore (Sinemuriano), circa 200 milioni di anni fa. Saltriosaurus è un nomen nudum, un nome temporaneo, proposto da Cristiano Dal Sasso, nel 2000, in seguito alla scoperta, nel 1996, da parte di Angelo Zanella in un giacimento fossilifero nei pressi di Saltrio (VA), da cui prende nome. Il Saltriosaurus era un predatore che si muoveva con andatura bipede, mantenendo l'equilibrio con una lunga e rigida coda. Aveva un cranio di notevoli dimensioni, lungo circa 70 cm, dotato di grossi denti taglienti. Le braccia erano ben sviluppate e terminavano con tre dita artigliate. Le ossa sinora rinvenute sono poche ma ben conservate: tra di esse c'è la furcula, osso dal cinto pettorale che per la sua debole struttura non si rinviene quasi mai.
Besanosaurus leptorhynchus
Besanosaurus leptorhynchus


Besanosaurus leptorhynchus
Vai a: navigazIl besanosauro (Besanosaurus leptorhynchus) è un rettile estinto appartenente agli ittiosauri. Visse nel Triassico medio (Anisico/Ladinico, circa 237 milioni di anni fa) e i suoi resti fossili sono stati ritrovati in Italia. È uno dei fossili più rappresentativi del famoso giacimento di Besano / Monte San Giorgio. Questo animale è noto per un esemplare pressoché completo, lungo 5,8 metri. Il cranio era piuttosto piccolo rispetto al corpo e possedeva un rostro di forma allungata e sottile, mentre le orbite erano relativamente piccole se confrontate con quelle di altri ittiosauri coevi (come Mixosaurus) e misuravano circa 8 centimetri di diametro. I denti, spaziati fra di loro in maniera regolare, erano piccoli e di forma conica, con la punta leggermente smussata. Come in tutti gli ittiosauri, gli arti erano trasformati in strutture simili a pagaie. I due arti anteriori erano più grandi di circa il 15% di quelli posteriori, e possedevano numerose modificazioni strutturali: l'omero era breve e arrotondato, mentre il radio possedeva una lieve costrizione centrale e l'ulna era quasi del tutto circolare. Sia "mani" che "piedi" presentavano solo quattro dita ma con un notevole aumento del numero di falangi. Sembra che il corpo, piuttosto snello e allungato, non presentasse alcuna pinna dorsale (al contrario degli ittiosauri successivi) e la coda era lunga e sottile (anch'essa probabilmente sprovvista di pinna caudale). Si pensa che l'animale in vita dovesse pesare circa mezza tonnellata. L'olotipo di Besanosaurus venne ritrovato nella primavera del 1993 nella cava del "Sasso Caldo", nei pressi di Besano, dai volontari del gruppo paleontologico di Besano. Il fossile, a esclusione della punta del rostro, era completamente immerso nelle rocce circostanti e inizialmente poté essere visto solo tramite i raggi X; furono necessarie 145 radiografie per esaminare il contenuto delle 38 lastre di roccia che racchiudevano lo scheletro. L'esemplare venne poi alla luce nel laboratorio paleontologico del Museo Civico di Storia Naturale di Milano dopo 16.500 ore di preparazione. I preparatori rimossero la roccia che racchiudeva il fossile passo dopo passo, utilizzando sabbiatrici, ceselli, aghi e con l'ausilio di uno stereo microscopio. Le 38 lastre di roccia vennero poi riassemblate e fu creata una matrice di silicone, dalla quale poi si ottenne un calco dell'esemplare originale. Attualmente il fossile si trova nel Museo civico di Storia Naturale di Milano, presso il quale si possono ammirare un calco e una ricostruzione dell'animale. Un altro calco si trova nel Museo Civico dei Fossili di Besano.
 
Neptunidraco ammoniticus
 
Neptunidraco ammoniticus
 

Neptunidraco ammoniticus
Studiando un fossile conservato nel Museo Paleontologico e della Preistoria “Pietro Leonardi” di Ferrara, due ricercatori del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Alma Mater hanno scoperto i resti fossili del rettile marino lungo 4 metri e vissuto 160 milioni di anni fa Una lunga testa, munita di decine di denti conici, un corpo idrodinamico e quattro arti a forma di pinne. Viveva sul territorio italiano quando, 160 milioni di anni fa, esso era ancora ricoperto dalle acque. Si tratta di un plesiosauro, un rettile di grandi dimensioni, il primo scoperto nel nostro Paese. In uno studio, pubblicato in questi giorni sulla rivista scientifica internazionale Acta Palaeontologica Polonica, Andrea Cau e Federico Fanti, paleontologi del Museo Geologico “Giovanni Capellini” (Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna) descrivono la loro scoperta: il fossile, custodito nel Museo Paleontologico e della Preistoria “Pietro Leonardi” di Ferrara, contiene i resti di un plesiosauro. Finora, i resti fossili di questi rettili marini vissuti nell’era Mesozoica (tra 200 e 65 milioni di anni fa), lunghi da 3 a 15 metri erano praticamente assenti in Italia. A parte alcune osse singole, non era mai stato scoperto uno scheletro nel nostro Paese. Il fossile studiato dai due ricercatori fu rinvenuto negli anni ’80 del secolo scorso durante lavori di estrazione da una cava di marmo rosso ammonitico presso Kaberlaba (Vicenza), ma solo di recente è stato possibile analizzarlo, su sollecitazione della direzione del museo ferrarese. Lo scheletro di plesiosauro lungo 4 metri, in buono stato di preservazione (sono presenti circa 70 ossa), ha permesso di stabilire che era membro della famiglia Pliosauridae, un gruppo di predatori marini lunghi fino a 10 metri, e di ricostruire fedelmente l’aspetto originario dell’animale in vita. Il fossile risale all’inizio del Giurassico Superiore (160 milioni di anni fa). A quel tempo, buona parte del territorio italiano non era ancora emerso dal mare: gli strati rocciosi da cui è stato estratto il fossile sono infatti l’antico fondale marino giurassico sollevatosi con la formazione della catena alpina. Questo studio è il secondo di una serie che ha come oggetto i rettili mesozoici vissuti in Italia. Nel 2011, gli stessi ricercatori avevano descritto un altro grande rettile giurassico italiano, Neptunidraco ammoniticus. Queste ricerche confermano che l’Italia ha un patrimonio paleontologico sottostimato e ancora in buona parte inesplorato. Ulteriori indagini su nuovi esemplari sono attualmente in preparazione.


 








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