CLICCARE SULLE IMMAGINI PER INGRANDIRLE

martedì 1 settembre 2009

HOMO FABER

Homo faber


Premessa
La preistoria è una disciplina in itinere, in quanto dipende dalle nuove scoperte che, con nuovi mezzi scientifici e tecnologici, vengono alla luce, apportando nuovi elementi di conoscenza sulla vita e le vicende dell’uomo.
Per i paleoantropologi, infatti, la preistoria inizia con le prime tracce di attività di produzione di manufatti; in altre parole, con i primi indizi di manipolazione dell’ambiente naturale da parte dei nostri antichissimi antenati.
A monte di tale abilità si dipana la lunga storia evolutiva degli ominidi, da cui discendiamo. Il processo di sviluppo di caratteristiche come la posizione eretta e l’andatura bipede, che consente di utilizzare gli arti superiori per attività diverse dalla deambulazione e dalla corsa, costituisce l’elemento di assoluto ed ineguagliabile interesse per definire il momento in cui si creano le potenziali capacità di creare, di produrre e di usare manufatti diversi, e quindi cultura. Difatti, circa due milioni di anni fa compare sul pianeta, che noi chiamiamo Terra, vicino al Lago Vittoria, in Africa, l’Homo abilis , cioè uomo che sa usare le mani.
Alle scoperte archeologiche, inoltre, vanno aggiunti i nuovi strumenti tecnologici di rilevazione e di calcolo, nonché i traguardi a cui sono giunte le ricerche biologiche e i nuovi metodi di datazione, che consentono agli antropologi, paleontologi e etnologi di meglio interpretare e far parlare i reperti rinvenuti.
Infine, accanto alle tecniche di indagine e di rilevamento, basate sulla distribuzione spaziale di tutti gli oggetti rinvenuti in sede di scavo, si possono effettuare numerose analisi su manufatti e sulle materie prime utilizzate, da cui si ricavano ulteriori informazioni e conoscenze sull’evoluzione delle capacità intellettive, creative e tecnologiche dell’uomo.
Quanto la preistoria sia una disciplina in continuo aggiornamento si ricava anche dal fatto che negli ultimi studi gli antropologi molecolari sostengono che l’attuale umanità ha avuto origine in Africa tra 200 mila e 150 mila anni fa e che l’Homo di Neanderthal non può essere considerato un antenato della nostra specie. Grazie a tali scoperte è venuta meno la coincidenza meccanica tra evoluzione culturale ed evoluzione biologica.

La questione dei nostri antenati: transizione animale - uomo

Nell’evoluzione dell’uomo occorre fare riferimento ai primi ominidi (dal latino homo-minis) di circa 4 milioni di anni fa, che popolavano l’Africa equatoriale e che possono essere considerati il primo approccio con l’uomo.
Debbono passare circa due milioni di anni ancora perché si incontri l’Homo abilis, caratterizzato dalla corporatura piccola e da una dentatura dalla quale si desume un’alimentazione onnivora, basata sulla caccia e sulla raccolta di prodotti della vegetazione. È il primo essere a fabbricare ed usare una sorta di utensili ottenuti dalla scheggiatura di pietre per procurarsi il cibo e per adattarlo alle proprie esigenze di fruibilità e di conservazione.
Contemporaneamente all’Homo abilis, sempre in Africa, si evolvono due tipi di ominidi (gli Australopitechi): uno più robusto e vegetariano e uno con struttura ossea meno robusta; ma entrambi si estinsero circa un milione e 500 mila anni fa, forse per l’impossibilità di arrivare alla costruzione di oggetti utili per la sopravvivenza, per la caccia e per la difesa.
La struttura del bacino degli Australopitechi esclude una vera e propria capacità di deambulazione, quale è necessaria per percorrere grandi distanze ed essenzialmente per l’esercizio della caccia.
Nella lunga fase preliminare del campo di transizione animale – uomo, si verificarono parallelamente alla forma eretta, una serie di altre modifiche: lo svincolarsi della mano dalle esigenze della locomozione (mano deputata alla prensione e alla manipolazione), modifiche nella dentatura, l’accorciamento del muso.
In base ai dati anatomici però non è possibile stabilire la posizione degli Australopitechi in rapporto al campo di transizione animale – uomo: qui il paleoantropologo deve rivolgersi ai dati offertigli dalla preistoria, che, in questo caso, diventa scienza ausiliaria dell’antropologia. Per poter stabilire, infatti, che il cervello di una forma fossile funzionava come quello di un uomo, dobbiamo basarci sulle funzioni che ci vengono rivelate dai reperti fossili a nostra disposizione; è necessario, cioè, in concomitanza con i reperti antropologici, constatare le tracce di un’attività che superi quella degli animali.
E’ da considerarsi appartenenza alla fase umana – qualunque sia l’aspetto morfologico dell’essere considerato – quando si rinvengano tracce evidenti della sua intelligenza, ossia quando riconosciamo degli utensili (manufatti) che siano stati fabbricati da lui. Un utensile, essendo il prodotto di un cervello umano, è qualcosa di più di uno strumento (un lavoro), che può essere usato anche istintivamente da animali. Senza un cervello adeguato (che crea, pensa e progetta), la mano da sola non sarebbe in grado, per esempio, di ricavare intenzionalmente un lato tagliente di una pietra. Le mani delle scimmie non lo fanno, anche se la struttura anatomica lo permetterebbe.
Ecce Homo!

La comparsa dei primi fabbricatori di utensili fu preceduta – e questo era inevitabile – da una lunga fase caratterizzata dall’uso di semplici strumenti da parte degli Australopitechi, che sono, dal punto di vista morfologico, il più antico ominide finora conosciuto.
A quel tempo, sempre in Africa, era apparso un ominide più evoluto, capace di costruire oggetti più rifiniti rispetto a quelli prodotti dall’Homo abilis: venne definito Homo ergaster (dal greco “lavoratore”). Egli è considerato l’antenato dei tipi umani sviluppatesi successivamente. Questa specie, che include esemplari precedentemente attribuiti all’Homo erectus, sarebbe stata (il condizionale è d’obbligo) la prima ad uscire dall’Africa, mentre l’Homo erectus rappresenterebbe una specializzazione asiatica, destinata a restare priva di esiti successivi.
Circa altri 250 mila anni dopo si evidenzia un ominide, come evoluzione dell’Homo abilis con una particolare caratteristica, quella dello stare eretto sugli arti inferiori: Homo erectus.
La scoperta di tale evoluzione coincide con il ritrovamento, per lo stesso periodo, di individui simili in molte altre parti delle terre emerse e non solo sul continente africano: a Giava il primo rinvenimento, poi in Europa e Asia settentrionale.
L’evoluzione dell’Homo erectus arriva a circa 500 mila anni fa e dà inizio alla costruzione di diversi utensili e alla scoperta e all’utilizzo del fuoco per cuocere il cibo e per difesa. Questo individuo che sta eretto, che usa il fuoco, che sa costruire oggetti, spesso in forma di mandorla, che si interessa della costruzione di un riparo (capanna o grotta) per conservare i propri beni, derivati dal lavoro artigianale e dalla caccia, è un essere che si evolve sempre di più e che vive con altri esseri simili, comunica con essi, prima con suoni gutturali, ad imitazione dei suoni prodotti dagli elementi della natura circostante, e poi via via più raffinati sino a formare le basi di un linguaggio. Esso sembra sopravvivere fino a circa 40 mila anni fa. Tracce della sua presenza in Italia (nella zona di Isernia), risalenti a circa 700 mila anni fa, dimostrerebbero che la penisola italica era unita, a quel tempo, al continente africano.
Contemporaneamente al diffondersi dell’Homo erectus, si sviluppò in alcune zone una specie più evoluta con caratteristiche più simili a quelle dell’uomo attuale e che portò ad una evoluzione successiva testimoniata dal ritrovamento, nella valle di Neander (Germania), di un individuo più massiccio, adatto ai climi più rigidi delle medie latitudini, con capacità cranica maggiore: Homo di Neanderthal, che avrebbe popolato a lungo l’Europa fino ad essere definitivamente soppiantato, dopo un periodo di coesistenza ancora non precisamente definibile, dalla forma moderna del genere Homo. Questo uomo riesce a superare l’ultima glaciazione (circa 70 mila anni fa), e ci mostra una propria cultura. Pur vivendo nelle caverne e migrando alla ricerca di cibo, conosce il fuoco e lavora abilmente la pietra e soprattutto pratica il culto dei morti, inumando i corpi e ponendo vicino ad essi amuleti, segno del riconoscimento di una vita ultraterrena e di entità superiori. Alcuni di questi elementi lo uniscono e lo rendono affine all’Homo sapiens.
Quali siano stati i fattori che hanno determinato la scomparsa dell’Homo di Neanderthal e l’affermarsi dell’Homo sapiens dopo parecchie migliaia di anni di convivenza negli stessi territori dell’Europa occidentale e dell’Asia sud-occidentale non è dato sapere con certezza.
Tra il Neanderhtal e il Sapiens, presumibilmente giunto dall’Africa, il successo ha arriso a quest’ultimo: forse perché più intelligente e creativo? Quel che è certo è che con lui compaionosistemi di autoriflessione e di spiccata inventiva.
A partire da circa 40 mila anni fa l’Homo sapiens è associato a nuove tecnologie di lavorazione della pietra e delle materie dure di origine animale; all’allestimento di insediamenti suddivisi in aree funzionali (aree del focolare, area della macellazione, area della lavorazione della pietra o di altre materie prime, ecc.); all’organizzazione di strategie economiche complesse su base stagionale, che comportavano forme di immagazzinamento, la ricerca di materie prime da lavorare e una rete allargata di rapporti sociali basata su regole matrimoniali di tipo comunitario; alla pratica delle sepolture, spesso accompagnate da ricchi corredi funerari; all’arte mobiliare e parietale (sculture a tutto tondo, basso-rilievi, incisioni, pitture).
Ora i gruppi di individui si spostano da un territorio all’altro, da una zona all’altra per fattori climatici, per inseguire gli animali, e si battono per il possesso di una zona di caccia.
Ritrovamenti successivi, come l’Homo di Cro-Magnon, nella Francia meridionale e databili 40 mila anni fa, mostrano un’ulteriore evoluzione dell’uomo (Homo sapiens sapiens) verso quello attuale. Più slanciato, con fronte meno prospiciente, più alto, è capace di rappresentare gli eventi della vita incidendo le rocce o dipingendo scene di caccia con il metodo del graffito colorato, con l’intento di celebrare un culto propiziatorio per la caccia o di rappresentare quello che osservava intorno a sé e lo attraeva visivamente ed emotivamente.

Un passaggio cruciale:dall’alimentazione ai processi culturali

Dal Paleolitico (o età della pietra antica) in poi (cioè a partire da circa 25 mila anni fa) si accelerano i tempi sia dei processi culturali sia quelli di cambiamento, e si accentua il divario tra le diverse aree geografiche, anche perché la cessazione delle grandi glaciazioni provoca già alla fine di tale periodo, ma soprattutto dal Mesolitico (o età della pietra di mezzo) in poi (cioè a partire da 10 mila anni fa), dei cambiamenti di notevole entità nella morfologia delle diverse regioni del globo e nel clima, che dopo il Neolitico (o età della pietra nuova), a partire da circa 7 mila anni in poi, tende ad assumere i caratteri odierni.
In questo relativo breve lasso di tempo compaiono nuove tecniche come: la scheggiatura per pressione, che consente di ottenere lame e lamelle di forma e dimensioni molto regolari e standardizzate; la lavorazione dell’osso, del corno e del legno; l’industria della ceramica e del vasellame; la costruzione di attrezzi per l’agricoltura e per la lavorazioni delle pelli; l’allevamento del bestiame; la lavorazione della pietra per ottenere forme simili a se stesso.
Inizia la tendenza alla sedentarizzazione, favorita anche dalla grande disponibilità di alcune aree fertili; si sperimentano nuove forme di relazioni con gli animali (comparsa del cane); si costruiscono i primi mezzi di trasporto.
Nel complesso si registra un notevole fermento di idee e nello stesso tempo un grande spirito di intrapresa.
E’ proprio del tratto caratteristico del Neolitico il passaggio alla domesticazione delle piante e degli animali e alla produzione degli alimenti, nonché alla riorganizzazione degli abitati (adozione dell’architettura in mattoni crudi, sostituzione della pianta circolare con quella rettangolare nelle abitazioni, impianto di aree-monumentali a carattere cultuale) e alla pratica dello scambio-commercio sulle lunghe distanze dell’ossidiana, assai ricercata per la produzione di specifici manufatti. Compare anche l’aratro e i magazzini per conservare, gestire, scambiare e ridistribuire i beni.
Dal Neolitico in poi la preistoria si fraziona ancor più che nei periodi precedenti in tante “preistorie” e “protostorie”, finché non diventano “storie” o modelli culturali di sviluppo non omogenei e unidirezionali: la civiltà della Mesopotamia (la terra tra i due fiumi), abitata dai Sumeri e Accadi, con i celebri Stati di Assiria e Babilonia; la civiltà della valle del Nilo con le piramidi e le grandi dinastie dei faraoni; la civiltà dell’Anatolia e della Siria-Palestina con la tradizione biblica; la civiltà dei greci e la nascita della polis e della filosofia; la civiltà dell’India e della Cina; la civiltà appenninica (prevalentemente dedita alla pastorizia e alla produzione di utensili e manufatti inerenti ad essa) ed etrusca (dedita all’industria mineraria e metallurgica e con una cultura legata al culto funerario); la civiltà romana e la sua espansione in tutto il mondo occidentale.
Da 6 mila anni in poi nella lista degli animali domestici si annovera il cavallo, che avrà un forte ruolo presso alcune popolazioni sul piano sia simbolico che tecnologico, soprattutto dopo l’invenzione del carro (documentato, per esempio, sulle tavolette in argilla in Iraq intorno a 5 mila anni fa). E’ di questo periodo il perfezionamento della lavorazione del rame e la presenza di altri minerali e metalli, come la lavorazione dell’oro.
Durante l’età del bronzo (3000 – 2500 a. C.) si cominciano a registrare in alcune civiltà le prime istituzioni politico-religiose centralizzate e la costituzione di vere e proprie dinastie, che si assicurano, attraverso un vasto e capillare apparato ideologico (che include gli edifici di culto e l’organizzazione religiosa, nonché l’importante strumento di comunicazione rappresentato dalla scrittura), la continuità dell’esercizio del potere.
In Italia, in particolare, intorno al 1000 a. C., durante l’età del Ferro, si possono identificare diversi popoli stabilizzati nelle loro sedi definitive: di essi cominciamo ad avere notizia dalle fonti classiche. Celti, Illiri, Iberi, Liguri, Reti, Veneti, Sanniti, ogni popolo con una propria caratteristica culturale, che vengono identificati con il nome del luogo dove sono state fatte le prime e significative scoperte.
Le origini della popolazione italiana sono quindi da ricercarsi in tante etnie le più difformi possibili.

Considerazioni conclusive

Nonostante i progressi fatti finora dalla scienza, restano troppi interrogativi ancora aperti sulle origini dell’uomo, a partire dalle frontiere della bioetica, dove si è a un passo dal carpire il segreto della vita.
C’è chi pensa che la nostra specie sia un mosaico di gruppi biologicamente ben distinti, per cui le identità etniche sarebbero antiche e radicate nei nostri geni.
C’è chi pensa che da queste differenze biologiche e in definitiva razziali deriverebbero stili di vita necessariamente differenti e diversi livelli di intelligenza. In altre parole, ci sarebbero netti confini fra gruppi umani e si tratterebbe di confini al tempo stesso biologici e culturali, per cui il nostro aspetto e il nostro comportamento sostanzialmente immutabili, sarebbero entrambi iscritti nel nostro DNA.
Queste sono idee vecchie e superate.
Per quanto ne sappiamo, il concetto di razza non corrisponde ad alcuna entità scientificamente riconoscibile ed è inutile per comprendere le basi delle nostre differenze biologiche e culturali. Su questo la scienza ha idee abbastanza chiare.
La biologia ci dice che il genere umano è uno solo, al di là delle differenze etniche. Ce lo dicono i geni.
Oggi sappiamo che siamo tutti parenti e tutti differenti. Sei miliardi di persone discendono da pochi antenati comuni, diventati uomini da quando hanno preso coscienza di sé ed hanno cominciato a trasformare, con atti creativi, la natura e l’habitat circostante, pensando, inventando, creando, intraprendendo e lavorando.
Questo è in linea con quanto scrisse più di 22 secoli fa il poeta romano Publio Terenzio Afro (II secolo a. C. ), che nella commedia Heautontimorumenos (Il punitore di se stesso), affermò: Homo sum, nihil humani a me alienum puto (Io sono uomo e nulla di ciò che è proprio dell’umanità mi è estraneo); un concetto storicamente e antropologicamente confacente per ribadire l’intrinseca solidarietà umana.

FINE
SCRITTO E IDEATO CON LA COLLABORAZIONE DEL PROF. ORESTE BAZZICHI

Nessun commento: