Nuove
scoperte sollevano dubbi sulla nostra specie come “perfetta” e
incontaminata, una specie di percorso senza ostacoli che va da Adamo
ed Eva ai grattacieli e a Internet. La genetica conferma invece che
siamo quasi un patchwork di geni provenienti da “uomini” diversi,
che si sono incontrati in posti e in momenti differenti.
Chissà
cosa dicono i “teorici della razza”, coloro che ritengono l'uomo
l'ultima tappa di una marcia verso la perfezione, quelli che pensano
che niente avvenga per caso. Nuove scoperte sollevano dubbi sulla
nostra specie come “perfetta” e incontaminata, una specie di
percorso senza ostacoli che va da Adamo ed Eva ai grattacieli e a
Internet. La genetica sembra confermare invece che siamo quasi un
patchwork di geni provenienti da “uomini” diversi, che si sono
incontrati in posti e in momenti differenti. Su una base di geni di
Homo sapiens si sono così innestati pezzi di Dna di almeno altre due
specie, o forse di più, fino a creare una specie di chimera.
Incontri
fugaci
La
nostra uscita dall'Africa, circa 70.000 anni fa, è stata infatti
solo l'inizio di una serie di incontri-scontri con altre specie, come
gli uomini di Neanderthal e quelli di Denisova, che abitavano in
Europa e in Asia da molto prima dei nostri antenati, e che sono
scomparsi da millenni. Gli accoppiamenti, se ci sono stati, hanno
lasciato nel nostro patrimonio genetico “frammenti” di geni che
forse sono stati utili per sopravvivere in ambienti nuovi e ostili.
Sempre che la ricostruzione della genetica sia quella corretta, cosa
di cui alcuni studiosi dubitano.
Nelle
prossime pagine vi raccontiamo la storia intricata e affascinante di
una specie-mosaico: la nostra.
Tutta
la storia cominciò con il sequenziamento, avvenuto in un laboratorio
tedesco circa due anni fa, di molti tratti del Dna di tre femmine di
Neanderthal, i cui scheletri furono trovati in una grotta in Croazia;
la lettura del loro patrimonio genetico portò alla scoperta che i
non africani hanno in comune coi Neanderthal un 1-4% in più degli
africani.
Crollano
le prime teorie
Gli
studiosi stessi rimasero sorpresi: Svante Pääbo, genetista svedese
del Max Planck Institut in Germania, che guidava il gruppo di
ricerca, pensò che i primi risultati fossero sbagliati, pieni di
grossi errori statistici. L'opinione prevalente, fino a quel momento,
era infatti che uomini e neanderthaliani fossero due specie
completamente distinte e che quindi, come accade in quasi tutti gli
animali, non ci potesse essere stato nessuno scambio di geni.
Uscita
dall'Africa
I
paleontologi avevano infatti stabilito che le nostre strade si
divisero circa 400.000-500.000 anni fa, quando alcune popolazioni
dell'antenato comune alle due specie (che noi chiamiamo Homo
heidelbergensis) uscirono dall'Africa, dirigendosi verso l'Europa,
mentre il grosso rimaneva in Africa. Nel nostro continente questa
specie si adattò al clima più freddo e secco, diventando l'uomo di
Neanderthal, mentre in Africa sorse, circa 150.000 anni fa, l'Homo
sapiens vero e proprio.
Ricongiungimento
con un lontano parente
Circa
70.000-80.000 anni fa la sceneggiatura si ripeté; questa volta
qualche migliaio di uomini veri e propri uscì dall'Africa per
dirigersi prima verso la Palestina, poi verso est, l'Asia e la
lontanissima Australia. Separati da migliaia di anni, si pensava, non
era possibile che maschi e femmine delle due specie si trovassero
interessanti fino ad accoppiarsi e avere una discendenza. E invece...
La
scoperta di un eccesso di geni neandertaliani nel DNA degli europei e
degli asiatici non fu però che il primo passo. Le sorprese non erano
finite, ma a questo punto cominciarono i veri misteri: prima di tutto
la piccola percentuale di geni in comune con i nostri cugini estinti
era presente negli europei e negli asiatici, ma non negli africani. E
la sorpresa è diventata stupore (o, come si dice, il mistero si
infittisce) quando nel Dna di alcune popolazioni di isole del
Pacifico, dell'Australia e della Nuova Guinea sono stati trovati
varianti di geni ancora più strane e differenti dai nostri.
Lo
sconosciuto della Siberia
Ancora
una volta Pääbo è andato a cercare da dove provenissero questi
pezzi di Dna. E ha scoperto che le stesse sequenze erano presenti
anche in un quasi sconosciuto “uomo”, di cui in Siberia sono
stati scoperti pochi frammenti (un dente e l'ultima falange di un
dito); dal nome della grotta sugli Altai dove sono state ritrovate le
ossicine, questa specie è stata chiamata uomo di Denisova. Altro che
marcia trionfale di conquista, quindi; la storia della nostra specie
diventa sempre più complicata e, per certi versi, sordida.
Ricostruiamo
allora cos'è successo, secondo i genetisti, dopo la nostra uscita
dall'Africa (vedi pagina seguente).
Quando
i rappresentanti della nostra specie, usciti dall'Africa,
incontrarono una folta popolazione di neanderthaliani, tra maschi e
femmine delle due specie scoccò una scintilla, con quel che segue;
gli accoppiamenti diedero origine a una prole fertile (che quindi a
sua volta poteva avere figli) e una parte del Dna degli uomini o
delle donne di Neanderthal è rimasta nel nostro patrimonio genetico.
Chris Stringer, paleontologo del Museo di storia naturale di Londra,
la spiega così: «Il fatto che ci sia la stessa percentuale di geni
proveniente dai Neanderthal e presente in europei, cinesi e abitanti
della Nuova Guinea sembra possa essere spiegata solo da quello che è
accaduto circa 60.000 anni fa, prima che queste popolazioni
prendessero ognuno la propria strada». Quindi appena usciti
dall'Africa, e poco dopo aver incontrato i neanderthaliani.
Passaggio
a sud-est
Qui
iniziano però i primi dubbi: nonostante lo scenario raccapricciante,
nessuno studioso ci vede niente di strano: «Sì, il tutto è
plausibile», dice Antonio Torroni, genetista di Pavia. «In fondo
uomini moderni e neanderthaliani sono evolutivamente ancora
abbastanza vicini; 500.000 anni non sono poi moltissimi, e può
quindi darsi che teoricamente le nostre specie potessero accoppiarsi.
Però...». Il problema, dice anche il genetista Guido Barbujani, di
Ferrara, autore di molti ottimi libri divulgativi sull'evoluzione
della specie umana, è che non è affatto chiaro dove si siano
incontrati sapiens e neanderthalensis. «Quando la nostra specie uscì
dall'Africa, sembra certo che la strada presa non fu solo verso
nord-est, la Palestina e poi l'Europa e l'Asia, come si pensava un
tempo, ma anche quella a sud, cioè l'attuale stretto di
Bab-el-Mandeb e quindi la costa meridionale dell'Arabia e
dell'India».
Ma
dove hanno "consumato"?
Dove
si sarebbero viste per la prima volta le due popolazioni? E come mai
allora, se non c'è stato nessun incontro, c'è questa somiglianza
tra noi e neanderthal? «Il mio parere è che questa somiglianza
risalga a tempi molto molto più antichi. Secondo me in Africa
c'erano due gruppi distinti: uno ancestrale a europei, asiatici e
neandertaliani, e un altro alle altre popolazioni africane». Ed è
proprio dal primo gruppo che sono derivati i geni che adesso troviamo
negli europei, negli asiatici e nella popolazioni del Pacifico. Anche
perché, come afferma Barbujani: «Si è stabilito che negli uomini
moderni non c'è nessun contributo femminile che proviene dai
neanderthaliani. Quindi sarebbero stati i maschi ad accoppiarsi con
le femmine umane; e questo non accade quasi mai quando una
popolazione invade. Per quanto ne sappiamo, studiando per esempio
quello che è successo nelle Americhe dal Cinquecento in poi, sono
soprattutto i maschi invasori che si accoppiano con le femmine della
popolazione invasa».
Magari
con la forza.
Ma
l'intricata storia della nostra specie non è finita, anzi: uscita
dall'Africa, una parte della popolazione umana si è diretta
decisamente verso est e, alle pendici degli Altai, ha incontrato
un'altra specie, proprio l'enigmatico uomo di Denisova, presente da
migliaia di anni. Questa specie, che abitava dalla Siberia all'Asia
tropicale, viveva in comode grotte montane, con vista sulla pianura
ricca di prede.
Dalla
Russia con amore
Anche
in questo caso tra le due specie avvenne uno “scambio di geni”,
che lasciò nell'unica sopravvissuta, cioè noi, un residuo qua e là
nel Dna. Non tutti gli asiatici hanno questo residuo, ma solo di
alcuni gruppi che adesso abitano la Melanesia, piccole isole nel
Pacifico, l'Australia e le Filippine. Secondo una recentissima
ricerca, inoltre, le “ondate” di uomini che entrarono in Asia
dall'Africa furono più d'una, così come numerosi furono gli
incontri, anche galanti, con le popolazioni locali, denisoviani
compresi. «Anche se sembra strano, è quasi più facile accettare
che l'uomo si unì ai denisoviani invece che ai neanderthaliani»,
conclude Barbujani.
Alcuni
genetisti insistono però che lo scenario dell'accoppiamento tra
queste tre specie è plausibile. Anzi, dicono che sono riusciti a
scoprire la funzione di una parte dei geni neanderthaliani e
denisoviani; sarebbero serviti a difenderci dalle malattie non
presenti in Africa, ma che gli europei di allora e i denisoviani
avevano con l'evoluzione “imparato” a combattere.
In
particolare proverrebbero dalle altre specie alcune varianti del
sistema immunitario, chiamate HLA-A, B o C, che aiutano le cellule a
combattere virus e batteri. Una recentissima ricerca dice che
addirittura il 50% dei geni di questo tipo presenti negli europei
provengono dai neanderthaliani, e addirittura il 70% dei geni
asiatici hanno questa origine.
Ancora
una volta, non tutti sono convinti di queste percentuali e Barbujani
è perplesso: «L'HLA è un gruppo di geni molto difficile da
interpretare, e quindi ho la sensazione che l'autore, rispettato
immunologo finora senza pubblicazioni in campo
antropologico-evoluzionista, l'abbia sparata grossa».
In
conclusione, il cammino della nostra specie fuori dall'Africa diventa
sempre più intricato, complesso e assomiglia sempre di più a un
cespuglio ricco di specie diverse che si sono “conosciute”
biblicamente anche molto dopo la loro separazione. Adamo ed Eva
ebbero quindi numerosi amanti (maschi e femmine) dove aver lasciato
la loro “patria”. Ed è la memoria di questi amanti che rimane
nel nostro Dna.
Nessun commento:
Posta un commento