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lunedì 10 maggio 2021

Nuova scoperta nella grotta Guattari al Circeo

 

Ritrovati i resti di nove uomini di Neanderthal nella Grotta Guattari al Circeo


Sono stati ritrovati, tra Latina e Frosinone, in una campagna di scavo in collaborazione con l’Università di Tor Vergata, i resti di nove ominidi di Neanderthal, insieme a un ampio numero di fossili animali e vegetali. La soprintendenza e gli archeologi impegnati nel progetto, che sta interessando uno dei siti più prolifici e importanti sul paleolitico medio, sostengono che questo nuovo ritrovamento costituirà una notevole banca dati sulla storia dell’uomo e dell’ecosistema di queste terre. I resti sono databili tra i 125 mila ai 50 mila anni fa. “Lo studio geologico e sedimentologico di questo deposito”, spiega Mario Rolfo, docente di archeologia preistorica dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata, “ci farà capire i cambiamenti climatici intervenuti tra 120 mila e 60 mila anni fa, attraverso lo studio delle specie animali e dei pollini, permettendoci di ricostruire la storia del Circeo e della pianura pontina”.

LA  STORIA DELLA GROTTA GUATTARI

La Grotta Guattari si trova a San Felice del Circeo ed è stata scoperta casualmente il 24 febbraio 1939. Sepolta da un crollo avvenuto circa 60 anni fa, è stata poi studiata dal paleontologo francese Alberto Carlo Blanc. Oggi gli archeologi, richiamati allo studio di questo sito, preziosamente conservato nel tempo, sono intervenuti con l’aiuto delle nuove tecnologie e la scorta delle conoscenze derivate da 80 anni di lavori di scavo, allargando una zona inedita della grotta, fino ad ora mai esplorata. Come ha raccontato Francesco Di Mario, il funzionario che ha condotto la campagna, tra i 9 scheletri rinvenuti ci sono un giovane e una femmina, appartenenti tuttavia a diverse epoche. “È una rappresentazione soddisfacente di una popolazione che doveva essere abbastanza numerosa in zona. Stiamo portando avanti gli studi e le analisi, non solo genetiche, con tecniche molto più avanzate rispetto ai tempi di Blanc, capaci di rivelare molte informazioni”. Ed è subito mistero.

NUOVI DETTAGLI SULLA STORIA DEL POPOLAMENTO IN ITALIA

Saranno i prossimi approfondimenti a tentare di chiarire gli enigmi della Grotta Guattari, ma già ci sono i primi dettagli dati dall’analisi delle ossa, e che portano alla luce frammenti di vita, a partire dalla dieta degli ominidi, prettamente vegetariana. Insieme ai corpi sono stati trovati frammenti di rinoceronti, iene, elefanti, orsi delle caverne e uro, un grande bovino ormai estinto. Qui il video che racconta la scoperta. “Con questa campagna di scavo”, ha detto Mario Rubini, direttore del servizio di antropologia della SABAP per le province di Frosinone e Latina “abbiamo trovato numerosi individui, una scoperta che permetterà di gettare una luce importante sulla storia del popolamento dell’Italia. L’uomo di Neanderthal è una tappa fondamentale dell’evoluzione umana, rappresenta il vertice di una specie ed è la prima società umana di cui possiamo parlare”. “Una scoperta straordinaria di cui parlerà tutto il mondo,  ha dichiarato il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, “perché arricchisce le ricerche sull’uomo di Neanderthal. È il frutto del lavoro della nostra Soprintendenza insieme alle Università e agli enti di ricerca, davvero una cosa eccezionale”.


martedì 16 marzo 2021

Homo gautengensis

 


Homo gautengensis (Curnoe,2010) è una specie di ominide proposta dall'antropologo e biologo Darren Curnoe nel 2010, sulla base di fossili del Sudafrica in precedenza attribuiti a Homo habilis, Homo ergaster o in alcuni casi ad Australopithecus. Secondo Curnoe sarebbe la più antica specie appartenente al genere Homo.

In seguito a una approfondita analisi dell'orecchio interno, eseguita tramite tomografia computerizzata da Spoor, Wood e Zonneveld nel 1994, è stato scoperto che aveva una andatura meno adattata al bipedismo di Australopithecus Afarensis, pertanto molto simile al fossile OH 62. Questo dato ha reso l'identificazione dei reperti come Homo Ergaster e Homo Erectus non più attuale.

Scoperta ed analisi

Le analisi del maggio 2010 di un teschio parziale rinvenuto decenni prima a Sterkfontein, vicino a Johannesburg (Gauteng, Sudafrica) hanno permesso di identificare una nuova specie, definita Homo gautengensis all'antropologo Darren Curnoe della UNSW. I fossili più antichi appartenevano al genere Homo, ma nessuno di loro era mai stato classificato in qualche specie.

I primi resti di questa specie furono scoperti nel 1977, ma furono quasi completamente ignorati. Furono catalogati come StW 53, ed etichettati come anomali.

Geocronologia

L'identificazione dell'Homo gautengensis si basava su teschi parziali, numerose mandibole, denti ed altre ossa trovate in momenti diversi nelle grotte che compongono la Culla dell'umanità. I campioni più antichi sono quelli provenienti da Swartkrans Member 1, datati tra 1,9 e 1,8 milioni di anni fa. Il campione StW 53 proveniente da Sterkfontein ha tra gli 1,8 e gli 1,5 milioni di anni. Un campione proveniente dalla grotta Gondolin risale a circa 1,8 milioni di anni fa. Altri campioni di Sterkfontein Member 5 risalgono a 1,4/1,1 milioni di anni fa, ed i campioni più recenti di Swartkrans Member 3 sono di 1,0/0,6 milioni di anni fa.

Descrizione

Secondo Curnoe l'Homo gautengensis aveva grandi denti adatti per la masticazione di vegetali. Aveva "grandi denti" ed un "piccolo cervello", ed era "probabilmente uno specialista ecologico, consumando più vegetali rispetto all'Homo erectus, all'Homo sapiens, e probabilmente anche rispetto all'Homo habilis". Sembra che producesse ed utilizzasse arnesi in pietra e che fosse in grado di accendere fuochi, come sarebbe dimostrato dall'esistenza di ossa animali bruciate nei pressi dei resti di Homo gautengensis.

Curnoe crede che l'Homo gautengensis fosse alto poco più di un metro, e che pesasse circa 50 chilogrammi. Secondo Curnoe camminava su due piedi quando si trovava a terra, "ma probabilmente passava molto tempo sugli alberi, forse per mangiare, dormire e fuggire dai predatori". Questa tesi oggi è insostenibile, in quanto la conformazione dell'orecchio interno punta verso una andatura di tipo più quadrupede che bipede.

Secondo i ricercatori non sarebbe stato in grado di parlare. A causa della sua anatomia e dell'epoca geologica, gli studiosi pensano che fosse un parente stretto dell'Homo sapiens, ma non necessariamente un antenato diretto.

Implicazioni

All'inizio del 2010 fu annunciata la scoperta di una nuova specie primate fossile denominata Australopithecus sediba. Secondo Curnoe l'Australopithecus sediba sembra "molto più primitivo dell'Homo gautengensis, e visse nello stesso periodo e nello stesso luogo", per cui "l'Homo gautengensis rende ancora più improbabile il fatto che l'Australopithecus sediba fosse un antenato dell'uomo moderno".

Uno dei motivi per l'aumento improvviso delle scoperte di nuove specie di Homo è il miglioramento dei metodi di analisi, spesso basati su scoperte precedenti, lo studio del DNA, ed una migliore comprensione di dove si potrebbero trovare i resti umani.

Curnoe ipotizza invece che sia l'Australopithecus garhi, trovato in Etiopia e datato a 2,5 milioni di anni fa, il più probabile antenato non Homo dell'uomo moderno.

Ossa ancora più antiche di quelle dell'Homo gautengensis aspettano di essere studiate e classificate. Secondo Colin Groves, professore della School of Archaeology and Anthropology della Università Nazionale Australiana di Canberra, "sono esistite una serie di diverse, e forse con vita breve, specie di proto-umani sia in Africa orientale che meridionale nel periodo che va da 2 ad 1 milione di anni fa".


martedì 9 febbraio 2021

Controversie sulle origini dell'uomo

Abbiamo sbagliato tutto sull’origine dell’uomo: siamo ‘nati’ multietnici e multiculturali

I primi esseri umani non erano una singola tribù africana, ma il risultato della fusione genetica e culturale di tantissime popolazioni che abitavano le diverse regioni del continente. L’incredibile scoperta di un consorzio di ricercatori ribalta totalmente tutto quello che fin ora era stato pensato sull’origine dell’uomo.

L'origine dell'uomo è multietnica e multiculturale, derivata dall'incontro e dall'intrecciarsi di diversi popoli africani di 300.000 anni fa. Fino ad oggi era opinione comune, fra gli studiosi del settore, che l'uomo moderno derivasse da una qualche tribù nata in un luogo non precisato dell'Africa e da li avesse migrato per il resto del globo colonizzandolo. Oggi, grazie a un consorzio di ricercatori, guidato dalla dottoressa Eleanor Scerri dell'Università di Oxford, sappiamo che non è così.


Di tanti uno. La ricerca della prima tribù umana ha combinato 3 diversi tipi di scienze: lo studio dei manufatti, la genetica e l'analisi morfologica delle ossa dei nostri antenati. Anziché derivare da una singola zona in Africa, un team di esperti internazionali ha suggerito che l'ascesa degli esseri umani moderni, sia stata una faccenda molto più caotica. Il continente africano era popolato da tribù separate, sparse attraverso il continente preistorico e separate da confini naturali, allora invalicabili come deserti, foreste e fiumi. Con lo scorrere dei millenni queste popolazioni hanno iniziato a mescolarsi e fondersi (non sappiamo se pacificamente o no), scambiandosi geni e conoscenze , dando vita così all'uomo moderno.

Intervistati, i tanti ricercatori di discipline diverse che hanno preso parte alla ricerca della nascita della nostra specie hanno tutti espresso le medesime considerazioni:

 "Quando guardiamo alla morfologia delle ossa umane negli ultimi 300.000 anni, vediamo un complesso mix di arcaico e caratteristiche moderne in luoghi diversi e in tempi diversi" afferma il professor Chis Stringer.
"Molti avevano ipotizzato che i primi antenati umani provenissero da una singola popolazione ancestrale. Tuttavia, gli strumenti di pietra e altri artefatti (di solito denominati cultura materiale) hanno distribuzioni raggruppate in modo significicativo nello spazio e nel tempo. La "modernizzazione" chiaramente non ha origine in una regione o si verifica in un periodo di tempo definito". La dottoressa Eleanor Scerri.
"È difficile conciliare gli schemi genetici che vediamo negli africani moderni e nel DNA estratto dalle ossa degli ultimi 10.000 anni, con la presenza di una popolazione umana ancestrale" il professor Mark Thomas
La  prima firmataria della ricerca conclude “L’evoluzione delle popolazioni umane in Africa è stata multiregionale. I nostri antenati erano multietnici e l’evoluzione della nostra cultura materiale (manufatti) è stata multiculturale. Dobbiamo guardare a tutte le regioni dell’Africa per capire l’evoluzione umana.”






giovedì 15 ottobre 2020

Homo Luzonensis: il misterioso antenato umano che ha vissuto in isolamento


Il recente ritrovamento di 13 ossa, tra cui alcuni denti, ha confermato l'esistenza di una nuova specie di ominide: l'Homo luzonensis, un misterioso antenato che viveva in una remota area delle Filippine.

 L'Homo luzonensis ha  vagato per il pianeta circa 67 mila anni fa, in particolare nell'isola di Luzon, nelle odierne Filippine, il che rende questa scoperta la prima prova di una specie di ominide in questa parte del mondo.

La prima scoperta è stata fatta nel 2007. Successivamente, nel 2011 e nel 2015, sono stati trovati altri resti nella grotta di Callao, nel nord delle Filippine.

All'inizio, gli scienziati pensavano di appartenere a un altro ominide, ma una volta confermato che i tre resti scheletrici provenivano dallo stesso substrato del suolo e che condividevano caratteristiche simili, sapevano di aver trovato una nuova specie.

L'Homo luzonensis, dal nome dell'isola in cui è stato rinvenuto, presenta caratteristiche corporee riscontrate in altre specie conosciute, ma la specifica combinazione di queste caratteristiche rende chiaro che si tratta di una specie diversa.

Ad esempio, i loro denti erano piccoli (come i nostri denti), ma le ossa dei loro arti lunghi assomigliano più a quelle dell'Australopiteco.

Un'altra caratteristica distintiva, qualcosa che hanno condiviso con Homo floriesiensis o Flores.e.

Etiopia – Trovato il più antico fossile di cranio di Australopiteco 29 Agosto 2019


Un gruppo internazionale di ricercatori ha scoperto un teschio Australopithecus in un eccezionale stato di conservazione. Il fossile è stato scoperto nella regione di Afar in Etiopia, a 55 chilometri di distanza dal luogo in cui era stata scoperta Lucy. Pubblicato su Nature, il risultato si deve a due studi guidati da Yohannes Haile-Selassie del Cleveland Museum of Natural History.
I lobi mascellare, frontale e parietale, la fossa nasale, le orbite, tutto è incredibilmente ben conservato, nonostante 3,8 milioni di anni trascorsi sottoterra. Questo fossile è quello di un Australopithecus Anamensis, la specie più antica del suo genere. Prima di questa scoperta si era stimato che fossero vissuti tra 4,2 e 3,9 milioni di anni fa. Questa scoperta ringiovanisce questa specie di 100.000 anni. È poco su questa scala temporale, ma non è banale. Nel frattempo era stata scoperta un’altra specie di Australopithecus: Afarensis, di cui Lucy è la rappresentante più famosa.
Questo nuovo esemplare implica quindi che entrambe le specie sono state contemporanee per almeno alcune decine di migliaia di anni, mentre gli scienziati hanno pensato fino ad allora che l’una avesse fosse succesiva all’altra.

È ancor più interessante che l’ottimo stato di conservazione del cranio abbia permesso di ricostruire il volto di questo individuo nell’immagine sintetica.
Questa datazione di 3,8 milioni di anni è stata resa possibile dall’analisi dei minerali presenti negli strati di roccia vulcanica presenti nell’area di scavo. Combinando le osservazioni fatte sul campo con lo studio di microscopici resti biologici trovati nella regione, i ricercatori sono stati anche in grado di ricostruire il paesaggio e la vegetazione dell’epoca.
Il teschio fossile è stato trovato tra i depositi sabbiosi di una regione in cui un vecchio fiume è entrato in un lago che è scomparso. I movimenti tettonici della Rift Valley etiope hanno poi portato nel corso dei millenni alla nascita delle pianure che caratterizzano la regione di Afar. Gli scienziati hanno anche scoperto chicchi di polline fossili e resti di piante e alghe. Hanno concluso che il lago era circondato da aree boschive, un bacino che era essenzialmente secco e probabilmente salato in determinati periodi.
Tutti questi elementi aiutano a comprendere meglio le evoluzioni delle specie che si sono susseguite nell’Australopithecus e da quando queste specie si sono separate per formare il genere Homo, il nostro.

martedì 19 marzo 2019

ULTIME CREAZIONI







GLI UTENSILI DI PIETRA PIU ANTICHI DEL MONDO




Provengono dal Kenya e hanno 3,3 milioni di anni. Sono stati costruiti molto prima della comparsa del genere Homo, da ominidi dall'intelligenza finora insospettabile.
In Africa sono stati riportati alla luce gli utensili di pietra più vecchi del mondo: risalgono a 3,3 milioni di anni fa, circa 500.000 anni prima della stima che facciamo sulla comparsa del genere Homo. Il ritrovamento dimostra che qualche precedente specie di ominidi aveva sviluppato l'abilità di costruire rudimentali strumenti litici (armi e arnesi di pietra), rivelando aspetti sconosciuti della storia dell'evoluzione dei nostri antenati.




ATTREZZI D'ALTRI TEMPI. Il sito da cui provengono i reperti, chiamato Lomekwi 3, si trova nella zona desertica che circonda il lago Turkana, nel nord-ovest del Kenya. I circa 150 oggetti raccolti a partire dal 2012 includono schegge affilate, incudini e "martelli" (hammerstone), alcuni dei quali di notevoli dimensioni. La datazione dei minerali e delle ceneri vulcaniche nell'area degli scavi ha permesso di collocare i manufatti in un periodo attorno a 3,3 milioni di anni fa.



DAL LEGNO ALLA PIETRA. In natura diversi primati, come gli scimpanzé o i gorilla, sono in grado di modellare grossolani arnesi di legno che vengono poi utilizzati per la caccia e il trattamento del cibo. Finora, però, si riteneva che l'uomo fosse l'unica specie della famiglia Hominidae capace di lavorare materiali litici.
Secondo le teorie più accreditate, il primo "uomo" a padroneggiare dei ciottoli scheggiati (chopper) fu l'Homo abilis, che diede vita alla cosiddetta produzione "olduvaiana" (dal giacimento di Olduvai Gorge, in Tanzania), le cui testimonianze più antiche risalgono a 2,6 milioni di anni fa e segnano l'inizio del Paleolitico Inferiore.


QUANDO L'UOMO NON C'ERA. Lo studio di Nature sposta indietro l'origine dei primi utensili di pietra, in un periodo in cui il genere Homo non era ancora apparso. Al momento non è possibile stabilire chi sia l'artefice di questi oggetti, tuttavia i ricercatori hanno già individuato due canditati verosimili.
Da un lato abbiamo il Kenyanthropus platyops, un ominide di classificazione incerta (per alcuni si tratta di una varietà di Australopithecus afarensis) i cui resti sono stati rinvenuti nel 1999 a un chilometro di distanza dal sito Lomekwi 3. Una secondo identikit porta invece direttamente all'Australopithecus afarensis (quello del fossile Lucy), vissuto in Africa tra 4 e 3 milioni di anni fa. In entrambi i casi si tratta di specie di proto-uomini ritenute fino a oggi non particolarmente abili, soprattutto a causa della ridotta capacità cranica.


EVOLUZIONE UMANA. Gli archeologi ritengono che gli strumenti non consentissero azioni complesse, ma servissero per rompere i gusci dei frutti o per scavare nel legno in cerca di insetti, in modo analogo a ciò che fanno alcune scimmie antropomorfe. Ma come sottolinea Sonia Harmand, coautrice dello studio, prima di questa scoperta si pensava che «il salto cognitivo per ottenere scaglie affilate dalle pietre» riguardasse esclusivamente il genere Homo, «e fosse la base del nostro successo evolutivo».
Dato che l'abilità di costruire oggetti richiede un certo livello di destrezza e manualità, i ritrovamenti di Lomekwi 3 suggeriscono che i necessari cambiamenti nel sistema nervoso centrale si siano manifestati nei nostri progenitori prima di 3,3 milioni di anni fa.
INDIZI PRECEDENTI. A Dikika, in Etiopia, nel 2009 un gruppo di ricercatori riportò alla luce i resti di animali risalenti a 3,4 milioni di anni fa. Le ossa portavano evidenti segni di tagli, indicando che degli ominidi avevano padroneggiato delle pietre per tagliare la carne. Sul posto non fu però trovata alcuna traccia di utensili, quindi fu impossibile dimostrare se si trattasse di strumenti artigianali o semplici pietre con spigoli vivi. Lo studio di Nature toglie ora qualunque dubbio.